Stop ai migranti volontari nelle case di riposo Rossi attacca Fugatti: «Che tristezza, livello basso»
Le reazioni e i commenti degli avversari politici di Maurizio Fugatti stavolta sono più sarcastiche che scandalizzate. L’uscita del governatore, che domenica a Pinzolo, al cospetto del Capitano Salvini, aveva rivendicato con orgoglio di aver chiuso le porte in faccia ai richiedenti asilo che prestavano servizio o facevano volontariato nelle case di riposo trentine, ha suscitato incredulità tra gli operatori e ironia nelle file dell’opposizione alla giunta leghista.
«Non riesco a trovare altre parole adeguate al caso se non la parola tristezza» scrive ad esempio Ugo Rossi, predecessore di Fugatti, in un post su Facebook. «È triste sotto il profilo istituzionale che chi rappresenta il Trentino scenda a questo livello ed è triste sotto il profilo culturale ed umano che si usino questi temi per il consenso. La speranza - prosegue Rossi - è che chi ha ruoli di responsabilità rifletta e che tutti si rendano conto di quanto poco lontano si va in questo modo». L’ex governatore autonomista prende poi l’iniziativa anche dal punto di vista istituzionale e presenta un’interrogazione, condivisa da tutto il gruppo del Patt, in cui chiede in quante e quali case di riposo fossero presenti profughi o richiedenti asilo che svolgevano attività di volontariato negli anni dal 2013 al 2018, in quante e in quali case di riposo siano stati allontanati e quando si sia verificato il predetto allontanamento.
Anche l’ex assessore responsabile delle politiche di accoglienza dei profughi, Luca Zeni, oggi consigliere provinciale del Pd vuole capire se quella pronunciata dal palco da Fugatti sia stata una battuta per compiacere la platea leghista o se ci sia un atto formale della giunta per interrompere le esperienze avviate dalle case di riposo con i profughi su invito della giunta di centrosinistra nella precedente legislatura.
«Vale la pena ricordare al presidente Fugatti - scrive Zeni su Facebook - che la Provincia non ha mai ordinato alcunché, ma ha offerto una opportunità alle case di riposo che volessero avvalersene, nel pieno rispetto della loro soggettività giuridica. Infatti, essendo dovere giuridico della Provincia, ieri come oggi, gestire l’accoglienza dei richiedenti asilo, si è sempre ritenuto opportuno chiedere loro di “darsi da fare”, di mettersi a disposizione della comunità facendo volontariato, ad esempio nell’arredo urbano o nel sociale. Impostazione un tempo condivisa dalle Lega Salvini, che ora invece preferisce sfamare i richiedenti asilo mantenendoli inoperosi. Forse perché se vengono visti bighellonare per Trento invece che darsi da fare per la comunità trentina, è poi più facile indicarli come il nemico responsabile di tutti i problemi».
In difesa delle parole del presidente ieri è intervenuta la capogruppo della Lega Salvini Trentino in consiglio provinciale Mara Dalzocchio secondo la quale il presidente Fugatti con le sue parole non avrebbe fatto altro che dare voce alle richieste che pervenute da molti famigliari e da molti anziani ospiti in Rsa: «Sono stati costretti, proprio in virtù di un buonismo che sta sempre più assumendo i toni di vero e proprio estremismo, ad accettare la presenza di richiedenti asilo e si trovano nella condizione, senza in alcun modo essere razzisti, di non poter muovere alcuna critica poiché vittime di un clima di paura che è stato imposto negli anni» scrive Dalzocchio. Che a giustificazione di questo presunto disagio di anziani e parenti solleva una questione per così dire linguistica: «Ci sono infatti molti anziani - afferma - i quali, sia per il fatto che son soliti esprimersi in dialetto sia perché questi sono i desideri dei loro stessi familiari, si trovano più a loro agio con operatori italiani o quanto meno residenti in Trentino da tempo».
La nota della consigliera Dalzocchio ha ispirato il sarcasmo del gruppo consiliare del Partito Democratico che a commento ha diffuso ieri una “contronota”: «Risulta evidente che Dalzocchio, non sapendo cosa dire, non sa nemmeno come dirlo. D’altra parte, non è semplice riuscire a commentare positivamente la dichiarazione di un presidente che si vanta pubblicamente d’aver fatto in modo che i richiedenti asilo ospitati nel proprio territorio non possano più andare a fare compagnia agli anziani nelle case di riposo. Cosa c’è di positivo in una simile scelta? E chi sarebbe a beneficiarne? La sensazione è che, ancora una volta, l’ansia da prestazione per la presenza del sempre più acciaccato “Capitano”, abbia fatto smarrire il buon senso anche a Fugatti, tanto da indurlo a gonfiarsi il petto per una disposizione sulla quale, se confermata, avrebbe fatto meglio a stendere invece un velo pietoso. Nell’attesa, immaginiamo vana, di sapere quante lettere il presidente della Provincia abbia ricevuto, quanti cittadini abbia incontrato, quante strutture si siano a lui rivolte affinché intervenisse con tempestività contro l’insopportabile piaga dei richiedenti asilo che fanno compagnia agli anziani, ci piacerebbe conoscere, questo si carte alla mano, con quale atto formale abbia scongiurato il perdurare di un fenomeno così scelleratamente rivoluzionario come quello di due persone che si incontrano, per parlarsi, e tenersi compagnia».
«CON I RICHIEDENTI ASILO ESPERIENZA POSITIVA»
«Era l’estate 2016. Con alcuni educatori delle cooperative sociali abbiamo pensato a come si potessero coinvolgere i richiedenti asilo ospiti della Residenza Fersina in attività che permettessero loro si trascorrere il tempo dell’infinita attesa sui loro destini burocratici e di vita e di sentirsi utili alla comunità che li accoglie. Abbiamo pensato di attivarci come Apsp (Azienda pubblica di servizi alla persona, le ex Rsa, ndr). Siamo partiti da Povo, dalla Apsp Margherita Grazioli di cui ero allora presidente e importante è stato il ruolo della cooperativa sociale Kaleidoscopio, nostra vicina di casa, essendo di Povo, che gestiva l’accoglienza alla Fersina».
Renzo Dori, storico presidente della “Casa di riposo” di Povo e oggi presidente dell’Associazione Alzheimer Trento, ricorda così come nacque, in Trentino, il progetto che ha portato alcuni richiedenti asilo a prestare servizio di volontariato all’interno di alcune Apsp trentine. Una prassi cui il presidente della Giunta provinciale, Maurizio Fugatti, sembra intenzionato a dire stop. «Abbiamo iniziato con sette ragazzi, provenienti da Nigeria, Senegal, Mali, Gambia - prosegue Dori - e, superate le perplessità iniziali di qualche ospite, abbiamo visto che la cosa funzionava. Gli anziani della nostra struttura erano tranquilli e soddisfatti. I giovani africani, tutti tra i 20 e 35 anni, felici e appagati. I ragazzi hanno collaborato soprattutto al supporto nelle attività di animazione. Ma la sperimentazione, iniziata a novembre 2016, subito seguita, in ordine sparso, da altre case di riposo trentine, a Povo si è interrotta dopo un anno e mezzo, nell’estate 2018».
Precisa Dori: «Kaleidoscopio ha visto calare il numero di propri operatori e seguire il progetto è diventato più difficile. I richiedenti asilo andavano formati». «Per i ragazzi di origine africana in cerca di un futuro migliore le ore trascorse a Povo, al Centro diurno, al Centro servizi o in Rsa sono state un’ottima occasione per sperimentare relazioni, esercitarsi nella lingua italiana, mettere alla prova le proprie competenze» aggiunge l’attuale direttrice della “Margherita Grazioli” Patty Rigatti. «E per i nostri ospiti una possibilità di aprirsi a nuove culture». Richiedenti asilo non coinvolti in attività dirette di assistenza, ma a supporto di progetti specifici di animazione: abilità manuali, lavori laboratoriali, “caffè della mente”, giochi, attività ricreative.
«Una struttura come la nostra - prosegue Rigatti - si avvale comunque di una cinquantina di altri volontari, singoli che abbiamo formato o membri di associazioni. Per dare continuità al volontariato, serve sentirsi seguiti, serve una regìa. I nostri volontari sono soprattutto donne, ma abbiamo anche qualche uomo. Soprattutto pensionati. Alcuni fanno corsi di pittura. Ma stiamo cercando di diventare attrattivi anche per i giovani, collaborando con scuole, associazioni, realtà musicali. Il dialogo intergenerazionale è essenziale. Il supporto al welfare del futuro passa dai giovani, che per esigenze di vita e studio non possono essere coinvolti in progetti a troppo lungo termine. Ma possono mettere qui da noi le loro abilità relazionali, professionali, soprattutto nei settori estetico, della cura alla persona, alberghiero e della ristorazione. Con il servizio civile abbiamo già dei progetti di musicoterapia».
«Con i richiedenti asilo nelle nostre Apsp, che hanno avviato in questi anni esperienze singole abbiamo sempre avuto riscontri positivi», conclude Francesca Parolari, presidente dell’Unione provinciale istituti per l’assistenza (l’Upipa, che riunisce le Apsp provinciali). Professionisti di colore, poi, lavorano stabilmente nelle nostre strutture. Nella mia Rsa di Nomi, il nuovo medico che si prende cura dei nostri ospiti è di origine africana».