Poste, un altro giro di vite sugli sportelli

Nubi su altri quattro uffici postali trentini: la Spa a maggioranza pubblica vorrebbe chiudere entro fine anno, anche lo sportello Trento 4, in via Scopoli, nel quartiere di Cristo Re. Stando a informazioni che rimbalzano da Roma, nel palazzone dell’Eur sarebbe stata decisa inoltre una riduzione di orario che riguarda altre tre filiali, attualmente aperte anche il pomeriggio. Si tratta di Trento 2 (in via Gazzoletti, accanto al palazzo della Regione), Mezzolombardo e Cles, che a quanto pare dall’anno prossimo saranno accessibili solo al mattino.
Schiarita, invece, sul fronte delle assunzioni: nell’ambito dell’accordo nazionale per 3 mila stabilizzazioni, a breve 33 portalettere del bacino dei precari avranno un contratto a tempo indeterminato ma part time al 50% (vedi l’articolo in basso).

La nuova contrazione della rete postale, come in situazioni analoghe del recente passato, sarà accolta con disagio da lavoratori, sindacati e enti locali interessati. Una delle critiche mosse al Poste italiane in occasione delle precedenti decisioni simili riguarda l’assenza di un confronto preventivo con il territorio.

Ora si vedrà se da qui alla fine dell’anno ci saranno margini per una retromarcia, anche se la storia recente indica che i ripensamenti sono stati rari, anche a fronte a mobilitazioni sociali.
Gli interventi sulla rete di Poste italiane rientrano in un accordo quadro siglato a livello nazionale, tuttavia i sindacati, così come gli enti locali, chiedono da sempre che la Spa utilizzi strumenti di valutazione coerenti con la realtà di ogni singolo ufficio, evitando di affidarsi esclusivamente a una misura quantitativa del volume complessivo delle operazioni di sportello.

Vero che il piano di ottimizzazione degli uffici postali è frutto di accordo generale, è il ragionamento che fanno i soggetti nei territori, ma ci si attende una qualche condivisione nella fase di analisi, invece - è la denuncia principale - i bisogni specifici dei vari luoghi coinvolti sono stati sostanzialmente tralasciati.

Secondo i manager, negli sportelli da chiudere o da ridimensionare non si svolgono operazioni a sufficienza per garantire la sopravvivenza dell’ufficio o un orario di apertura completo. Ma quando si fanno questi studi numerici, ribattono da tempo sindacati e altre realtà locali, non si considerano le caratteristiche delle operazioni, la dislocazione dello sportello, il tipo di bacino di utenza. Il risultato è che abbiamo delle zone destinate a diventare del tutto sguarnite, prive di questo servizio ancora essenziale per molti cittadini».

Certo, l’evoluzione tecnologica, con il crescente ricorso alle interfacce Web, consente a molti utenti di risolvere gran parte dei problemi senza doversi recare fisicamente nell’ufficio postale. È indubbio che questa trasformazione ha modificato l’approccio allo sportello, tuttavia in molti fanno notare l’importanza di questo servizio per tutte le persone che per pagare una bolletta hanno ancora bisogno di un aiuto umano.

Va da sé che il pensiero va innanzitutto alla popolazione anziana, che, visti la contingenza e il trend demografico, riveste un ruolo di primo piano nella nostra società. Il quadro, poi, si aggrava se pensiamo alle zone di montagna, dove i disagi si moltiplicano a fronte della dismissione di presidi quali l’ufficio postale. Non per niente esiste un regime di sostegno pubblico, per quanto relativamente contenuto, proprio al fine di garantire la funzione «universale» del servizio dei cittadini, a prescindere dalle valutazioni strettamente di business e di bilancio.

Chi chiede alla Poste maggiore cautela nelle cosiddette «razionalizzazioni» sottolinea pure che accanto alle operazioni che la società può considerare non redditizie esiste un vasto giro d’affari, dal settore creditizio a quello assicurativo passando per la logistica legata all’e-commerce, che consentirebbe di mantenere un equilibrio di gestione.

Sullo sfondo c’è anche la convenzione siglata a Roma, un anno e mezzo, fa tra Poste italiane e Provincia autonoma di Trento, con lo scopo di garantire e rafforzare i servizi, specie nelle aree rurali di montagna. Un’intesa, ora da verificare nella realtà quotidiana, che prevedeva, fra l’altro, specifiche garanzie su raccolta e recapito (sabato compreso) e l’installazione di locker per le spedizioni e i ritiri di pacchi nei giorni feriali e festivi.


 

LA POSIZIONE DELLE POSTE

«Poste Italiane ha assunto un impegno nel novembre 2018 di non chiudere uffici nelle aree meno densamente abitate ed in particolare nei Comuni con meno di 5000 abitanti. Tale impegno è stato mantenuto e verrà ribadito nell’ambito di un prossimo evento, che si terrà a Roma il 28 ottobre, alla presenza degli Amministratori locali e delle Istituzioni centrali dello Stato.

Si precisa inoltre che in alcune grandi città ad alta densità abitativa e capillare presenza di Uffici Postali è stato avviato un progetto di rimodulazione della presenza in aree urbane, con il solo scopo di implementare il servizio e migliorare l’articolazione territoriale per cittadini, imprese e pubblica amministrazione. I criteri adottati sono particolarmente stringenti e riguardano esclusivamente città con numero di abitanti superiore a 100 mila, uffici postali con esiguo numero di operazioni effettuate al giorno, presenza di altro ufficio limitrofo entro poche centinaia di metri e soprattutto adeguamento ai processi di trasformazione urbana che negli ultimi decenni hanno coinvolto il territorio.

L’azienda ribadisce che nessun ufficio postale verrà chiuso senza una completa e preventiva condivisione con le competenti autorità Comunali.

Certi che tali evidenze, l’impegno ribadito nella capillarità della rete, gli investimenti territoriali effettuati e il comportamento tenuto nel continuo confronto con le comunità locali, chiariscano, senza dubbi, le posizioni di Poste Italiane sull’argomento».

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