La cameriera era "in appalto" Per i giudici, risparmio illegittimo
La cameriera - ma potrebbe anche essere una barista o un commesso - data in appalto al ristorante. È la nuova frontiera dello sfruttamento dei lavoratori, un contratto che secondo il Tribunale di Trento è però irregolare (e - scrive il giudice - forse anche fraudolento). Il datore di lavoro, in questo caso un ristorante pizzeria della città, non aveva assunto direttamente la cameriera, ma aveva sottoscritto un contratto di appalto di servizi con una cooperativa di Roma (un gigante del settore con circa 10mila dipendenti). Quest’ultima forniva ad un “prezzo” vantaggioso la lavoratrice per servire in sala.
La cameriera era assunta e pagata (anzi sottopagata perché parte dei contributi previdenziali e degli emolumenti non venivano versati) dalla società cooperativa, che a sua volta veniva remunerata dal ristoratore sulla basa di un contratto di appalto di servizi. Peccato che la somministrazione di manodopera con queste caratteristiche secondo il giudice sia illegittima. Il Tribunale ha infatti riconosciuto la natura subordinata del rapporto di lavoro condannando il ristoratore a versare alla ex dipendente tutto quanto le spettava sulla base del contratto di lavoro nel settore del turismo e dei pubblici esercizi. Ma l’imprenditore, che aveva sottoscritto in buona fede il contratto di appalto, non è tenuto a pagare perché il giudice ha accolto la chiamata in manleva stabilendo che a risarcire sia la cooperativa di servizi.
Il 19 settembre del 2017 la giovane cameriera era stata assunta dalla cooperativa romana, con la quale però di fatto non aveva alcun rapporto diretto: lavorava invece per la pizzeria di Trento il cui titolare deteneva il potere organizzativo stabilendo orari di lavoro, mansioni, ferie. Lo stipendio era di circa 1.400 euro al mese. La lavoratrice si è poi dimessa per giusta causa il 29 marzo del 2019 lamentando il mancato pagamento di contributi previdenziali e di alcune voci dello stipendio da parte della cooperativa che l’aveva assunta e poi “appaltata” al ristorante. La dipendente, assistita dal’avvocato Gennaro Romano, ha dovuto promuovere una causa di lavoro per ottenere quanto le spettava.
Le ragioni della lavoratrice sono state accolte in pieno dal Tribunale. «Deve ritenersi compiutamente accertato - scrive in sentenza il giudice Giorgio Flaim - che, in ragione della natura quantomeno irregolare (ma più plausibilmente fraudolenta, essendo stata violata la norma inderogabile che impone, al di fuori dei casi consentiti, l’identità tra datore di lavoro e utilizzatore delle prestazioni rese) della somministrazione di lavoro, si è costituito un rapporto di lavoro subordinato avente per oggetto mansioni di cameriera di sala. Il datore di lavoro è stato condannato a versare alla ex dipendente della cooperativa 5.386 euro (per il pagamento di voci quali 13a e 14a, ma anche alcune trattenute senza causa fatte sullo stipendio). Inoltre dovranno essere versati all’Inps i contributi che risultano mancanti (in totale 28 settimane). Tutte somme che in ultima istanza sarà la cooperativa a dover pagare. Cooperativa condannata, a norma dell’articolo articolo 96 del Codice di procedura civile, a versare alla cameriera anche 2.000 euro per lite temeraria. Insomma, dare in appalto un lavoratore come fosse un servizio qualsiasi rischia di costare caro.