La dura vita del rifugista, Nicolini racconta «Tanti sacrifici. Ma abbiamo tolto il wi-fi e la gente ha ricominciato a cantare

di Barbara Goio

Non è facile la giornata di lavoro di un rifugista, e quando arriviamo in queste strutture, dovremmo ricordarci tutti cosa c'è dietro. Leggete questo racconto di Francesco Franz Nicolini, gestore del Pedrotti alla Tosa, nel Gruppo del Brenta:

La sveglia suona alle 4.30. Franco, la moglie Sandra e i figli Federico e Elena con il compagno Davide scendono in cucina, preparano il caffè ed escono ad ammirare i primi raggi di sole spuntare da dietro le creste della Marmolada.

“Regna un silenzio irreale e lo spettacolo a cui assistiamo ci toglie ogni volta il fiato, soprattutto nelle limpide mattine di settembre,” racconta Franco. “È l’unico momento della giornata tutto per noi, perché gli ospiti stanno ancora dormendo. Inoltre, mi è sempre piaciuto vedere iniziare il nuovo giorno, ho la sensazione che tutto sia possibile e non vedo l’ora di vivere nuove avventure.” Una nuova avventura Franco Nicolini e la sua famiglia l’hanno iniziata nel 2011, quando hanno preso in gestione il Rifugio Tosa Pedrotti, a 2491 metri sul livello del mare nel cuore delle Dolomiti di Brenta.

“SIAMO QUI PER ACCOGLIERE TUTTI CON LO SPIRITO DI CHI VIVE E AMA LA MONTAGNA” “Per chi non è esperto di montagna, raggiungere il rifugio è già un grande traguardo: c’è chi si stupisce della presenza delle camerate o del fatto che alle dieci di sera vengano spente tutte le luci. Gli alpinisti invece sono abituati, arrivano al rifugio per trascorrere la notte e il mattino dopo ripartono presto per intraprendere le loro scalate.” La famiglia Nicolini accoglie tutti come vecchi amici.

“Siamo un presidio, il nostro compito non è solo dare la pastasciutta. Rispondiamo alle domande, consigliamo itinerari, avvisiamo in caso di condizioni meteo avverse. Nell’eventualità di incidenti e emergenze, siamo sempre i primi a rispondere.” “SPERO CHE LE PERSONE CAPISCANO CHE ANCHE UN SEMPLICE MINESTRONE È IL RISULTATO DEL LAVORO E DEI SACRIFICI DI TANTE PERSONE.” “Il rifugio è come una sorta di piccolo villaggio: bisogna produrre la corrente, portare l’acqua e persino l’immondizia deve essere trasportata a valle. Sono azioni scontate nella vita di tutti i giorni, ma a 2500 metri richiedono ingegno e organizzazione”, fa notare Franco. Questo è vero anche per quanto riguarda i rifornimenti, soprattutto considerando le numerose presenze registrate ogni giorno in rifugio.

“Inizialmente avevamo pensato anche all’elicottero, ma non sarebbe stata la soluzione migliore: se c’è la nebbia, oppure piove, c’è il rischio di rimanere con la dispensa vuota perché l’elicottero non arriva. Così abbiamo deciso di potenziare e regolamentare la teleferica che già esisteva, anche se lo sforzo rimane comunque notevole. Basta pensare a una cassa di pomodori: dal negozio, a Molveno, viene caricata su un fuoristrada e portata al Rifugio Croz dell’Altissimo. Qui viene caricata sul carrello della teleferica e sale per circa 2000 metri, fino ad arrivare nelle mani di Sandra, mia moglie. È lei la vera anima del rifugio, è lei che studia, prepara, segue la cucina: senza di lei non avremmo nulla da servire!”

“ABBIAMO LIMITATO IL WI-FI E LA GENTE HA RICOMINCIATO A CANTARE.” Anche quando la modernità arriva in rifugio, non è detto che porti a dei miglioramenti. “Quando abbiamo deciso di installare il Wi-Fi, ci siamo presto accorti che durante la cena le persone non parlavano più con i vicini di tavolo, ma erano completamente assorbite dal telefono. Si era perso lo spirito di una serata in rifugio, la possibilità di scambiare due parole con uno sconosciuto e magari diventare amici. Voglio dire, dopo un primo incontro al Pedrotti c’è persino chi si è innamorato e sposato!” Da qui la decisione di mettere un cartello per comunicare che durante la cena il Wi-Fi rimane spento: “La gente ha ricominciato a giocare alla mora o a carte. Nessuno cantava più, invece ora si sentono di nuovo i canti di montagna: chi non canta, fischia o batte le mani.” Mentre ciò accade, Franco risponde a domande e consiglia itinerari per il giorno seguente.
Poi, quando sono le dieci di sera le luci si spengono, tutti a letto. Poche ore e Franco, Sandra, Elena e Federico si alzeranno, guarderanno il sole sorgere e poi tutti al lavoro, pronti ad accogliere nuovi escursionisti. Buona giornata!


RIFUGISTI RIUNITI A RIVA DEL GARDA, MA I POLITICI LI SNOBBANO

Di tutto questo si è parlato nella “Giornata dei gestori di rifugio” del Trentino. Tanti gli argomenti sul piatto agli stati generali dei 140 rifugisti del Trentino, riuniti a Riva del Garda per l’assemblea annuale, l’occasione giusta per confrontarsi ed esprimere le giuste esigenze del «fiore all’occhiello» dell’ospitalità trentina, come si sono definiti. Ma da subito è stata notata l’assenza di una qualsivoglia rapprentatività istituzionale: all’incontro mancavano sia l’assessore all’ambiente Mario Tonina che quello al turismo Roberto Failoni e non era presente alcun dirigente della Provincia. «Noi li abbiamo invitati - ha ammesso il presidente dell’Associazione gestori rifugi del Trentino, Ezio Alimonta - ed è il primo anno che non viene nessuno». Ma non ha voluto commentare oltre il fatto. Più espliciti altri rifugisti: «Questo fatto ci ha deluso molto perché in questo modo manca un importante interlocutore» ha precisato Sergio Rosi del Rifugio Principe.

I turisti - Croce e delizia del rifugista. «Dal 2010 al 2018 si è assistito ad un aumento del tasso di internazionalizzazione dal 34,8 al 41, 2 per cento. Oltre alle classiche provenienze di Italia, Austria, Germania - spiega Mirta Valentini di Trentino Marketing - vediamo l’arrivo di turisti provenienti da Paesi Bassi, Usa, Polonia, Repubblica Ceca».
Diverso è il discorso su che tipo di turista serve alla montagna e viceversa. «Sono i follower che devono seguire noi, e non viceversa » ha sintetizzato Guido Trevisan (Rifugio Pian dei Fiacconi). E da più parti si è sottolineata la difficoltà a interagire con turisti «sempre più ansiosi e preoccupati di meteo, sentieri, tempi di percorrenza», come ha ricordato il vicepresidente Angelo Iellici (Rifugio Larezila). La soluzione è semplice: secondo l’esperto Flavio Antolini «Compito del rifugista non è amare la montagna ma amare i propri clienti». E se questi sono difficili? La risposta è provocatoria: «Teneteveli».

Stagioni e vista “wow” - Tra i margini di crescita, è stato evidenziato, bisogna puntare sulla bassa stagione («Perfino novembre ha registrato una crescita di interesse», ha sottolineato Trentino Marketing) e la valorizzazione dei rifugi in base alle specifiche caratteristiche, come una vista spettacolare o qualche particolarità. Agli input degli esperti però i rifugisti trentini hanno ribattuto con chiarezza che «ogni rifugio è unico».
Sentieri - Chiamata in causa per i lavori di manutenzione che di fatto hanno chiuso importanti sentieri dolomitici, la presidente della Sat Anna Facchini ha risposto che per evitare problemi giudiziari gli interventi devono essere «progettati, autorizzati, coperti finanziariamente e infine certificati». Da qui l’esigenza di una semplificazione burocratica «a cui si sta lavorando».
I social - Diversi gli errori da evitare secondo l’esperta Virna Pierobon, dalle foto di copertina con la stagione sbagliata a qualche auto davanti al rifugio. «Le immagini delle nostre montagne sono straordinarie e le visualizzazioni possono essere dell’ordine di centinaia di migliaia, e, ma abbiamo a che fare con un pubblico molto attento e basta un errore per far partire valanghe di commenti», ha evidenziato.

Tasse - Sta entrando in vigore il nuovo Isa, indice sintetico di affidabilità che in una scala da 1 a 10 certifica la “bravura” del rifugista. A chi contestava che è impossibile ottenere un buon voto con attività stagionali, Iellici ha risposto pragmaticamente: «Lo Stato ha bisogno di soldi e l’Isa serve a fare cassa».

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