Tamponi solo a chi ha sintomi? L'allarme del mondo scientifico «ma più di così non si può farne»
Fa discutere l’ipotesi sui criteri per il tracciamento proposta dalle Regioni e secondo molte voci del mondo scientifico decidere di fare il tampone in prima battuta alle persone con i sintomi (escludendo perciò gli asintomatici) sarebbe di fatto «una resa» perché renderebbe impossibile avere un quadro reale della diffusione del nuovo coronavirus. Sfuggirebbero infatti ai controlli il 43,5% dei casi positivi: tanti sono quelli indicati da ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità (Iss) nel monitoraggio più recente, relativo al periodo dal 12 al 18 ottobre.
Ormai sono diverse le ricerche, pubblicate su riviste accreditate, che indicano con dati alla mano che gli asintomatici sono in grado di trasmettere il virus e l’ipotesi delle Regioni di fare il tampone in primo luogo ai sintomatici preoccupa, per esempio, alcuni dei 100 scienziati che nei giorni scorsi hanno lanciato un appello ai vertici dello Stato chiedendo misure di contenimento più severe.
È un’ipotesi che «preoccupa perché, se non si tracciano gli asintomatici, questi possono essere una grossa fonte di contagio», osserva il fisico Giorgio Parisi, dell’Università Sapienza di Roma, le cui riflessioni avevano ispirato l’appello. Parla di «resa» uno dei 100 firmatari, il fisico il fisico Enzo Marinari, dell’Università Sapienza. «Potrebbe essere un approccio rischioso» e «temo - ha aggiunto - che significhi arrendersi completamente a perdere il tracciamento in modo definitivo; se non sappiamo più quanti siano gli asintomatici, questi potranno continuare a infettare».
Sulla stessa linea il fisico Giorgio Sestili, fondatore e fra i curatori della pagina Facebook «Dati e analisi scientifiche», per il quale «alla luce della letteratura scientifica si tratta di una proposta pericolosa in quanto gli asintomatici possono trasmettere il virus e se non venissero individuati potrebbe sfuggire, con essi, una grande fetta di popolazione contagiosa».
La grande criticità sembrerebbe, secondo gli esperti, la capacità delle Regioni di soddisfare la crescente richiesta di tamponi. Per Parisi «le Regioni dovrebbero parlare chiaro e dire che non sono in grado di fare, per esempio, più di 200.000 tamponi al giorno» e osserva che la proposta dovrebbe essere accompagnata da numeri. Forse, osserva, una possibile soluzione «potrebbe esserci uno spostamento massiccio sui tamponi rapidi, lasciando tamponi molecolari come conferma».
L’altra possibilità che resta è la quarantena. Le regole attuali prevedono l’isolamento di dieci giorni per gli asintomatici dal momento in cui viene comunicato loro il risultato del test, dopodichè devono fare un secondo tampone; per i contatti stretti si prevede invece la quarantena di 14 giorni e un secondo tampone al termine di questo periodo.
Secondo gli esperti si potrebbe optare per una quarantena di 14 giorni per tutti coloro che hanno avuto contatti con persone positive sintomatiche, ma per Parisi questo «potrebbe avere un alto costo sociale» perché arriverebbe a triplicare il numero delle persone in quarantena.
Dei rischi di ridurre il numero dei tamponi parlano anche i più recenti dati epidemiologici, dai quali emerge che la riduzione dei casi del 26 ottobre oggi «non è una buona notizia - osserva Sestili - perché i casi rallentano meno dei tamponi, tanto che il rapporto è aumentato» e ha raggiunto il 13,6%, il valore più alto registrato in questa seconda ondata.
Secondo Andrea Crisanti, ordinario di Microbiologia dell’Università di Padova far fare i tamponi solo ai pazienti sintomatici «è una proposta irresponsabile» e «vuol dire la rinuncia totale a contrastare l’epidemia e l’assenza totale di dati, perché a quel punto non si sa più nemmeno quanti sono i contagiati, vuol dire l’incapacità di individuazione dei focolai e di fare qualsiasi controllo».
Intanto, secondo gli esperti, i numeri sono destinati ulteriormente a crescere, finché fra due settimane circa non cominceranno a vedersi gli effetti delle misure introdotte con l’ultimo Dpcm. Si prevede così la conferma della tendenza dei casi a raddoppiare ogni settimana, così come quello dei decessi e dei ricoveri nelle unità di terapia intensiva.