Battiston: "Il virus è duro da sconfiggere, con le varianti ci preoccupa, occorre tener duro"
Roberto Battiston, lo scienziato trentino che da mesi tiene sotto stretto controllo l’andamento del coronavirus e che sui numeri della pandemia ha scritto anche un libro, ora continuerà ad occuparsene collaborando con Agenas, l’Agenzia che si occupa della valutazione delle politiche sanitarie delle Regioni e Province autonome.
Di che si tratta professore?
Nasce al Dipartimento di Fisica dell’Università un osservatorio sul dato epidemiologico dal punto di vista matematico e statistico che collaborerà con ricercatori di altre università fornendo un supporto agli studi e all’analisi dei dati di Agenas. È l’evoluzione di un lavoro fatto negli ultimi mesi per sviluppare modalità in grado di anticipare l’andamento delle epidemie, non solo fotografarlo.
Elementi utili per fare scelte appropriate.
Certamente, se si agisce sulla base dei numeri odierni si è già in ritardo di due settimane e la partita rischia di essere andata. È fondamentale avere elementi in anticipo per poterlo combattere.
E come si combatte il nemico invisibile?
Il punto fondamentale è che il virus si sviluppa con precise regole. Se uno guarda ai mesi scorsi vede chiaramente che ci sono delle risposte molto precise legate alle misure prese. Le regioni rosse ad esempio, dopo la partenza della seconda ondata di ottobre, hanno iniziato a scendere spegnendo gradualmente l’epidemia, quelle arancioni un po’ di meno, quelle gialle per nulla. La cosa più importante successa nella seconda ondata è il dpcm del 12 ottobre che ha imposto l’obbligo della mascherina in pubblico; prima non era così, le scuole erano partite senza questo obbligo. Da quando è stato imposto in due settimane l’Rt invece che crescere ha iniziato a calare, modificando l’andamento della seconda ondata. Poi il picco massimo degli infetti è arrivato un mese dopo, perché come sempre gli effetti sono sfalsati nel tempo.
Però il virus non è sconfitto. Si continua a morire e ad infettarsi. Perché?
Oggi l’Italia è in piena seconda ondata, con 420.000 infetti, che è un numero enorme, ma un valore di Rt sotto a 1. Quindi una situazione pericolosa ma che sta tenendo, probabilmente proprio per il fatto che oggi la mascherina ce l’hanno tutti. E anche gli assembramenti che in settembre erano deleteri oggi hanno un effetto più contenuto.
C’è però il problema delle varianti. Una minaccia pericolosa?
La presenza delle varianti brasiliana e inglese è ormai accertata. Mi auguro che si riescano a bloccare perché il tasso di contagio, ad esempio della variante inglese, è del 50% superiore rispetto al normale. Con un Rt oggi attorno allo 0,85 se la variante inglese prende piede e dovesse sostituire quella classica l’Rt schizzerebbe di colpo a 1,2 e ci porterebbe a un nuovo lockdown, perché numeri del genere non si possono sopportare.
E allora cosa fare?
La pandemia ha regole ben precise. In Italia abbiamo sempre reagito in maniera adeguata al fenomeno ma poi abbiamo mollato la presa quando le cose andavano meglio, come nell’estate scorsa. Se questo è comprensibile dal punto di vista psicologico le autorità avrebbero avuto l’obbligo di pianificare più attentamente e seriamente il rientro. In estate ci sono stati gli eccessi delle discoteche in Sardegna, che hanno prodotto una enorme diffusione e ripresa del virus. Ma nonostante tutto a settembre continuava il calo. Poi però alla riapertura delle scuole, con tutto quello che ruota attorno, in un mese siamo arrivati a 850.000 infetti attivi, partendo da 50.000.
Quindi ora pensare a riaprire le stazioni sciistiche è un azzardo?
Non conosco il dettaglio di come verrà organizzata, ma se lo sci all’aria aperta in se non è un problema il problema sono le risalite: le ovovie sembrano disegnate apposta per diffondere il contagio perché raggruppano diverse persone in un posto chiuso per un quarto d’ora, ansimanti e vicine. Eppoi ci sono i momenti di ristoro nei locali e le code per prendere gli impianti. Tutto si può fare ma occorrono persone e controlli, un grossissimo sforzo anche economico e organizzativo.
Il Trentino è sempre rimasto dall’autunno ad oggi zona gialla, l’Alto Adige invece torna in questi giorni zona rossa. Come si spiega questa differenza?
Le due province hanno popolazione simili e anche orografia simile, ma i morti nella prima ondata sono stati in Trentino il 50% in più rispetto all’Alto Adige, poi ricalcolato al 35% per una diversa classificazione di alcuni decessi. Nella seconda ondata la situazione è la stessa, sempre con più morti in Trentino. E si parla di centinaia di persone. Anche i sistemi sanitari sono simili. Ora, è vero che adesso in Alto Adige c’è un momento di crescita violento dell’epidemia che sta portando a un nuovo lockdown ma non possiamo affermare che in generale loro stanno peggio.
Eppure i dati ufficiali dicono che il Trentino, sempre rimasto giallo, è messo meglio. Come mai?
Ne parlavo con colleghi di Roma poche ore fa. Nella nostra provincia i dati sull’andamento di infetti e guariti sono quasi casuali, senza una logica, e questo è inspiegabile perché il virus fa il suo mestiere alla stessa maniera. Il timore è che ciò provochi una distorsione dell’andamento effettivo di Rt, anche perché nel calcolo c’è un margine di errore e le regioni sono autorizzate a prendere comunque il dato più basso del range. In Trentino però non si può fare neanche questo ragionamento perché i dati, unico caso in Italia, sono strani, quasi incomprensibili. Sembrano proprio casuali.
E da cosa dipende?
Intanto c’è una discrepanza nel rapporto tra gli infetti e coloro che sono in ospedale o terapia intensiva e questo è dovuta anche ai tanti tamponi rapidi effettuati e mai registrati.
Conforta comunque che almeno i ricoverati ora siano in calo.
In realtà le terapie intensive sono ancora piene al 36%, che è un dato più alto della media nazionale. In Veneto siamo al 18%, la metà. In Emilia Romagna al 25%. Ma al di là di questo ciò che voglio dire è che il fatto che siamo sempre rimasti in zona gialla deriva da un dato che sembrerebbe influenzato dalle strategie e modalità di verifica dell’infezione e di comunicazione piuttosto che dall’andamento dell’epidemia: lo si vede facilmente dai numeri, se uno li guarda lo capisce subito e non è normale.
Ce la faremo a sconfiggere il virus? Il vaccino ci salverà?
Certamente sì, il vaccino è la nostra Ferrari, l’arma finale. Sono molto efficaci perché combattono una traccia, l’RNA che il virus si porta dietro. Certo c’è l’incognita delle varianti su cui non si sa per certo se i vaccini sono efficaci, quindi è essenziale bloccare la partenza di una terza ondata di contagi.
È una lotta contro il tempo.
Assolutamente. Ogni 1% di italiani vaccinati in più è come se abbassassimo di uguale percentuale l’Rt. Oggi in Italia con 2 milioni e mezzo di persone vaccinate siamo al 4%. Inoltre ci sono certamente alcuni milioni di persone immunizzate dopo essersi ammalate. L’immunità di gregge si raggiunge quando gli immuni arrivano attorno al 70%. Ci stiamo avviando a buon passo verso quella direzione ma questo è un momento cruciale.
È il momento di tener duro.
Decisamente. Sono convinto che già in estate potremo essere in una condizione migliore. Se evitiamo una terza ondata ora, potremmo arrivare fra pochi mesi a un Rt attorno allo 0,5 che è una situazione gestibile, anche con tutto aperto. So che la situazione è difficile, soprattutto per alcune categorie, ma ci manca veramente un ultimo miglio da fare. Abbiamo ancora 400.000 malati attivi, che calano di diecimila al giorno ma che sono come la benzina per un cerino, se per qualche motivo Rt torna sopra 1, ad esempio perché si diffonde una variante particolarmente infettiva, dovremo tornare in lockdown e allora si ci metteremo tre mesi per riaprire. Ci vuole poco a ripiombare nell’emergenza e questo non tutti lo capiscono. È comprensibile dopo tante restrizioni che ci sia voglia di uscire e di libertà ma queste considerazioni il virus non le capisce ed è capace in quattro e quattr’otto di riprendere vigore.