Un'ostetrica: «Al Santa Chiara ho resistito solo sei mesi. Dicevano che avevo sbagliato lavoro»
Parla una professionista che aveva superato il concorso per un incarico a tempo indeterminato all'ospedale di Trento e ha lavorato nel reparto di ginecologia ma poi si è dimessa. Dopo la misteriosa scomparsa in val di Non della giovane ginecologa Sara Pedri, i familiari della dottoressa hanno denunciato in tv il clima pesante nel reparto ed è scattata anche un'indagine interna
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TRENTO. «Il senso di incapacità, la paura di fare qualsiasi cosa per l'incubo di sbagliare, la mancanza di un confronto sano: nelle parole della collega (testimonianza riportata sull'Adige del 12 giugno) mi sono ritrovata».
Anna (nome di fantasia) è un'ostetrica trentina che per sei mesi ha lavorato nel reparto di ginecologia del Santa Chiara. Dopo la specializzazione e un periodo di lavoro fuori regione, era riuscita ad avvicinarsi alla famiglia superando il concorso per un incarico a tempo indeterminato all'ospedale di Trento.
«Per me era un sogno che si realizzava. Da trentina è sempre stato il mio obiettivo lavorare al Santa Chiara».
Anna però ha dovuto gettare la spugna. «Ho presentato le dimissioni. Non mi riconoscevo più. Ero arrivata al punto di pensare che quella non era la mia strada».
Ci ha messo un anno per superare le insicurezze e ora lavora a tempo indeterminato in un ospedale fuori regione.
Anna, cosa l'ha spinta a presentare le dimissioni dal Santa Chiara?
«Mi sono licenziata per incompatibilità. Non potevo più rimanere lì. Sono andata in crisi, una forte crisi personale. Ho sempre desiderato diventare un'ostetrica, ero straconvinta di farlo, ci sono riuscita e, dopo un periodo positivo presso un ospedale fuori provincia, ho anche coronato il sogno di essere assunta al Santa Chiara. Ma nei sei mesi di lavoro a Trento sono arrivata anche a mettere in dubbio che quella fosse la mia strada. In reparto sono riusciti a farmi pensare di aver sbagliato lavoro perché dicevano che ero incapace, quasi non fossi neppure in grado di cambiare un cerotto alla ferita di un parto cesareo. Questo senso di incapacità mi ha spinto ad andarmene».
La sua collega ha raccontato la spiacevole sensazione di sentirsi sempre con il dito puntato contro.
«Sì, è quello che ho provato anch'io. L'errore non dovrebbe esserci, ma può accadere. Se il confronto è sano, la riunione dovrebbe essere maturativa. Invece spesso non portava a nulla. Così è stato quando mi hanno contestato l'errore, neppure verificato, di aver preso una decisione senza condividerla in merito ad una terapia. Se già la situazione prima non era facile, da quel momento è aumentata ulteriormente la mia crisi personale. Ho deciso di rassegnare le dimissioni, rimanendo senza occupazione».
Senza lavoro e in uno stato di crisi profonda: come è riuscita a reagire?
«Ho avuto enormi difficoltà personali a riprendermi da quella situazione. Il mio obiettivo era di lavorare al Santa Chiara e le dimissioni le ho vissute come un fallimento. Per un anno ho fatto altro, dubitando delle mie capacità professionali. Quando mi sono licenziata, sono stata invitata a rivedere il mio percorso di studi: mi hanno pure detto che avevo delle carenze.
Capisco il disagio di Sara Pedri. Io ce l'ho fatta a superare quel momento difficile grazie alla mia famiglia e ai miei amici. Io, trentina, ero a casa, mentre Sara era lontano dal suo paese, dai suoi cari. È difficile uscire da soli da queste situazioni. Io ho beneficiato di una rete familiare e di amicizie, ma confesso che ho anche pensato di rivolgermi ad uno psicologo. Ci ho messo un anno a risollevarmi, credevo di non essere più in grado di fare l'ostetrica. Poi ho ripreso in mano la mia vita e ho superato un concorso per ostetrica in un ospedale fuori regione. Dove sono adesso mi trovo benissimo e non ci sono problemi».
Cosa suggerisce a chi in questo momento sta vivendo le difficoltà che ha attraversato lei?
«Dico di andare avanti per la propria strada, di non considerarsi inadeguato perché le persone inadeguate sono altre. Sono convinta che anche ora al Santa Chiara ci siano colleghe che manifestano malessere, ma che non parlano per paura di ripercussioni. Ho ancora paura io che non lavoro più lì da tempo. Sono via da anni, ma pare che la situazione non sia cambiata. Eppure mi piacerebbe un giorno tornare a lavorare al Santa Chiara, ma anche a Rovereto o a Cles».
La vicenda di Sara Pedri ha messo in luce una situazione sommersa di disagio in reparto. Perché nessuno ne ha parlato prima?
«Ci ho pensato molto in questi giorni. Non c'è solo la paura. Quando mi sono licenziata pensavo di essere sola, di essere io quella sbagliata. Con il passare del tempo però mi sono resa conto di non essere l'unica. Se qualcuno avesse avuto il coraggio di parlare prima forse la vicenda di Sara sarebbe andata diversamente».
[Nella foto, Sara Pedri e la zona in cui è stata ritrovata la sua vettura, a Mostizzolo, nel territorio del comune di Cis, vicino al ponte che sovrasta il torrente Noce]