Tagli alle guardie mediche, l’analisi dell’Ordine: «Programmazione sbagliata, i manager della sanità non hanno capito che era un problema»
Il presidente Ioppi: «Sulla medicina, un patto sociale. Serve un progetto strutturato che vada a fare una previsione per il futuro»
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TRENTO. «Serve un patto sociale sulla sanità, e serve essere onesti con i cittadini, senza ipocrisia». Questo principio è il faro del presidente dell'Ordine dei medici Marco Ioppi. Che lo declina in ognuno dei fronti aperti della sanità trentina. A partire dai due più caldi: il settore guardie mediche, «abbandonate da decenni» e il tema sospensione dei sanitari non vaccinati «sarebbe ora, la legge è di aprile».
Dottor Ioppi, parliamo di guardie mediche. È stata una settimana difficile, lei ci ha capito qualcosa?
«Ci sono pochi medici per la continuità assistenziale e questi pochi dovrebbero sobbarcarsi la cura di un territorio sempre più esteso. Di fronte a questo, qualche dirigente motu proprio ha immaginato di ridurre le sedi, senza il coinvolgimento di chi è direttamente interessato e deve sobbarcarsi il peso. L'Ordine dà piena solidarietà all'organo sindacale. Serve un progetto strutturato che vada a fare una previsione per il futuro».
Il tema della carenza di medici è grave ovunque, sulle guardie mediche anche di più.
«Per forza. Stiamo vedendo le conseguenze di una programmazione non previdente degli anni passati. La continuità assistenziale è un aspetto molto importante della medicina territoriale. Perché affida la salute della popolazione tutte le notti e nei fine settimana. Lo spazio temporale è superiore a quello dei medici di medicina generale. È una funzione sanitaria molto delicata, dovrebbe essere affidata a medici esperti e tutelati».
E non è così?
«Abbiamo guardie che esercitano in strutture non protette, senza l'allarme. Nei piccoli centri sono da sole, tutta la notte. Sono esposte anche a dei rischi: abbiamo avuto alcuni episodi incresciosi. Si conti che il 60% delle guardie sono donne. Tante si fanno accompagnare dal padre, o dal marito, che in alcuni casi aspetta fuori, per garantire sicurezza. Questo problema non è mai stato preso in considerazione. Non parliamo poi della connessione con i sistemi informatici, che spesso non mettono in collegamento in modo efficiente, così non si può accedere al profilo del paziente. E questo non aiuta ad avere un quadro clinico del paziente».
Insomma, non stupisce che non ci sia la fila per prendere quel posto.
«È un lavoro difficile e poco attrattivo, uno appena può va altrove. Ma questo dipende dal fatto che non sono mai stati tutelati. Da anni ormai, quando si parla di riforma, ci si concentra sugli ospedali, mai sulla continuità assistenziale. E adesso siamo a questo punto, aggravato da una carenza generale di medici».
La politica ha abbandonato le guardie mediche?
«L'organizzazione lo ha fatto. Non diamo tutta la responsabilità sempre alla politica, i manager della sanità non hanno capito che questa era la priorità. Poi certo, la politica non ha controllato».
Adesso le sedi sono salve, ma il problema resta irrisolto: i medici non bastano. Su 108 necessari ne mancano 19. E arrivano segnalazioni di pazienti che attendono la visita a domicilio per parecchie ore. Siamo da capo.
«Tutto dipende dal fatto che a volte si fanno promesse a scopi elettoralistici, salvo essere incapaci di ripristinare il servizio. Eppure quel che serve è una programmazione che tenga conto del momento difficile. E serve un patto sociale sulla sanità: bisogna essere onesti con i cittadini, dire che la situazione è difficile, grave, mancano operatori e la sanità costa tantissimo. Bisogna fare molta prevenzione per ammalarsi il meno possibile e far sì che chi si ammala sia adeguatamente curato. Serve che le persone capiscano di rivolgersi al medico quando è necessario, non per paura. La nostra sanità è un patrimonio che non va sperperato. Le istituzioni devono avere politiche lungimiranti, senza promesse vane ma risolvendo i problemi reali. È responsabilità di tutti. Anche dei sanitari».
A proposito di questo, viene da pensare ai sanitari non vaccinati e alla sospensione. Quella che si apre pare la settimana decisiva.
«Sarebbe anche ora, con una legge entrata in vigore in aprile 2021 e con un obbligo vaccinale che per i sanitari è stato dichiarato essere condizione irrinunciabile per la professione ed è stato dichiarato legittimo da una sentenza del Consiglio di Stato 4 giorni fa».
Voi procederete materialmente alla sospensione.
«Quando l'azienda ci comunica chi non si è vaccinato, esclusi quelli per motivi sanitari. Finora ne abbiamo sospesi circa 20. La speranza è che tutti i medici capiscano il senso della legge. Ma prima ancora, che vadano a vaccinarsi più che per obbligo, perché fedeli ad un codice deontologico che li chiama a tutelare la salute pubblica. Le sanzioni le facciamo con un senso di tristezza».
Ci sono state anche azioni disciplinari?
«La sospensione per mancato vaccino non è una sanzione disciplinare. Noi apriamo un procedimento nei confronti dei colleghi che hanno dato comunicazioni discordanti, non attendibili o non prudenti, sull'infezione del Covid, su come curarlo, come prevenirlo e sulle vaccinazioni. Parlo di informazioni tali da mandare in confusione la popolazione».
Quanti procedimenti avete concluso?
«Quattro, risolti con un ammonimento o una censura, a seconda dei casi. E due fascicoli sono aperti».
C'è il caso del video a Bolzano, diventato quasi famoso. Ma gli altri, come ne siete venuti a conoscenza?
«Da segnalazioni. Anche di pazienti».
Al di là delle poche sanzioni disciplinari, il tema sono le sospensioni. L'Azienda sanitaria ha proceduto con molta cautela.
«Secondo me ritardare l'applicazione di questa legge, entrata in vigore ad aprile, è segno di debolezza. Potrebbe dar fiato e forza a chi non vuole arrendersi. E potrebbe essere una beffa verso quelle persone che si sono vaccinate prima che entrasse in vigore la legge, per responsabilità e dovere deontologico nei confronti delle persone».
La prudenza è stata forse dettata dalla carenza di personale, dalla paura di mettere a rischio qualche servizio.
«Non lo so, non abbiamo dati. Ma credo si debba uscire dall'ipocrisia. C'è gente là fuori che potrebbe aver bisogno urgente di un sistema sanitario efficiente per motivi seri. Personalmente credo che se un collega ha il coraggio di andare a mettere in crisi il sistema per una scelta ideologica su questo vaccino, allora potrebbe anche dichiarare le proprie idee e dire ufficialmente che non si vaccina, che è a causa sua che non c'è il servizio».