Undici «Case della salute» (ognuna con 10 medici e 8 infermieri) e tre nuovi «ospedali di comunità»: il progetto di Segnana con i soldi del PNRR
Ce la farà il Trentino ad avere il finanziamento? E come mai adesso sposa il progetto nazionale che da 14 anni la Provincia non ha mai messo in atto?
TRENTO. La Provincia di Trento ha inviato al ministero della Salute la richiesta di partecipare alla ripartizione di fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per la realizzazione di 11 Case della salute (ora chiamate nel documento Case della comunità) e 3 Ospedali di comunità, nonché per tutti gli altri interventi previsti dal Pnrr nella missione Salute (tra cui: casa come primo luogo di cura e telemedicina, grandi apparecchiature e digitale ospedaliero, verso un ospedale più sicuro e sostenibile, sviluppo delle competenze tecnico-professionali del personale sanitario).
Lo annuncia l'assessora alla salute, Stefania Segnana, che dice: «Ora stiamo attendendo che ci rispondano per confermare le risorse. Inizialmente ci avevano prospettato 12 Case della salute, ma nell'ultimo documento c'è scritto 11. Aspettiamo».
In effetti, a metà ottobre il ministero della Salute ha già stilato una prima bozza di «Proposta di ripartizione programmatica provvisoria delle risorse alle Regioni e Province autonome per i progetti del Pnrr». Al Trentino vengono assegnati 66.019.153,64 euro sul totale di 8 miliardi 42.960.665,58 euro di risorse complessive per l'attuazione degli obiettivi concordati dall'Italia con l'Europa. Si tratta dello 0,82%, tenendo conto che il 40% delle risorse sono destinate alle Regioni del Mezzogiorno.
Dei 2 miliardi destinati alla realizzazione di almeno 1.350 Case della salute in tutta Italia, alla Provincia di Trento vengono assegnati 16.359.965,18 euro per realizzare 11 Case della salute, considerato che oggi sul territorio provinciale non esiste nemmeno una di queste strutture (costo medio unitario di circa 1.481.000 euro), nonostante siano previste da una legge nazionale del 2007. «Casa della salute» viene chiamata quella che fu inaugurata a Storo, ma che non è ancora a pieno regime.
E lo stesso discorso vale per gli Ospedali di comunità. In Trentino non esistono. E con questo "doppio zero" non siamo l'unico territorio, visto che ci sono anche la Provincia di Bolzano, la Val d'Aosta, il Friuli Venezia Giulia e la Puglia.
Per rimettersi in pari con gli obiettivi europei e nazionali la Provincia di Trento si vedrà dunque ora assegnare 8.179.982,59 euro per realizzare 3 Ospedali di comunità. Ma di cosa si tratta esattamente? E perché ora la Provincia è pronta a realizzare nella sua organizzazione dei servizi sanitari e sociali sul territorio quello che non ha voluto fare per 14 anni? Solo per non perdere i fondi del Pnrr?
Le Case della salute (o Case della comunità), sono strutture polivalenti che forniscono i servizi sanitari di base e dove si promuove un modello di intervento multidisciplinare e di integrazione sociosanitaria. Dovrebbero diventare il punto di coordinamento dei servizi sociosanitari su un territorio, grazie anche alla contiguità fisica delle prestazioni e di riferimento per i cittadini, in particolare per i malati cronici. All'interno della struttura devono trovare collocazione gli studi dei medici di medicina generale e deve essere garantita la continuità assistenziale. In ogni Casa di comunità ci dovrebbero essere 10 medici di medicina generale e 8 infermieri oltre a 5 unità di personale amministrativo.
In Trentino dovrebbe "assorbire" dunque il modello previsto ma non ancora realizzato dello "Spazio Argento", sistema di servizi socio-sanitari e socio-assistenziali per anziani e malati cronici a livello di Comunità di valle.
Gli Ospedali di comunità sono invece presidi sanitari di assistenza primaria a degenza breve, che svolgono una funzione intermedia tra il domicilio e il ricovero ospedaliero. È una struttura dunque che serve per garantire le cure intermedie, ovvero quelle necessarie per quei pazienti che sono stabilizzati dal punto di vista medico, che non richiedono assistenza ospedaliera, ma sono troppo instabili per poter essere trattati in un semplice regime ambulatoriale o residenziale classico.
Un po’ quello che oggi è il «reparto di cure intermedie» che prima era ospitato alla Rsa De Tschiderer di Trento (Diocesi) e che la giunta Fugatti ha immediatamente trasferito al San Camillo (Camiliani).