Chiuso il reparto Pneumologia del Santa Chiara, personale trasferito agli Infettivi, da due anni la struttura in sofferenza
Una lettera dei dipendenti ai vertici dell’Azienda Sanitaria, pesanti dubbi sulla gestione complessiva dell’emergenza Covid e persino una domanda sui fondi nazionali, per un progetto che la giunta provinciale ha poi cassato
TRENTO. Una situazione difficile e preoccupante. Che va avanti da mesi, anzi anni. E le prospettive per il futuro non sono certo rosee. Stiamo parlando del reparto di Pneumologia del Santa Chiara, che è stato interamente chiuso, con il personale trasferito presso le Malattie infettive per condurre assistenza ventilatoria Covid.
Per questi professionisti, da due anni in primissima linea nella lotta contro il virus, si tratta di un altro stravolgimento dell'attività. Ma questa volta medici e infermieri, pur assicurando ovviamente di esserci e di essere pronti ancora una volta ad andare "in trincea", hanno preso carta e penna e scritto ai vertici dell'Azienda sanitaria, da Antonio Ferro a Pier Paolo Benetollo, fino a Mario Grattarola e Giuliano Brunori. Non si tratta di accuse o mere proteste, di vertenze sindacali o estemporanee lamentele, ma di un'analisi della situazione, delle promesse non mantenute e delle prospettive che non esistono, con un'ampia parte di proposte.
Il personale sottolinea che «stiamo per raggiungere i due anni di pandemia, quindi è difficile parlare di catastrofe inattesa, visto che ci sarebbero stati i tempi sufficienti per prendere corrette contromisure strutturali e organizzative. Ora siamo all'inizio della quarta ondata e anche questa volta ci arriviamo in gran parte impreparati e non per demeriti nostri. Nonostante questo ci sentiamo in dovere di garantire il nostro massimo impegno, ma non vogliamo accettare soluzioni approssimative per tamponare il problema, a discapito della nostra professionalità e della salute nostra e dei pazienti».
I professionisti entrano poi nel dettaglio, spiegando la situazione attuale ai vertici dell'Apss e ponendo alcune domande. «Non sappiamo come sono stati spesi i fondi nazionali destinati al potenziamento dei reparti di Pneumologia impegnati col Covid: esistevano un progetto e una delibera della giunta con la creazione di un nuovo servizio con 8 posti letto, ma abbiamo scoperto che è stato cassato. Nessuno ci ha avvertiti e nessuno, a ripetuta richiesta di chiarimento, si è sentito in dovere di risponderci.
Il direttore del nostro reparto è andato in pensione quasi due anni fa: come mai non abbiamo ancora un direttore? La carenza di personale è nota alla direzione e ora siamo rimasti con 5 medici e uno part time. Ci chiediamo se verrà rinforzato l'organico.
Anche la parte infermieristica è cronicamente in difficoltà e solo per l'attività ordinaria c'è difficoltà nel coprire i turni.
Ancora: Apss dichiara, giustamente, di voler tutelare le attività non Covid. Ma poi gli unici due reparti di Pneumologia della Provincia sono convertiti per la sola attività Covid».
Infine la domanda chiave: «Ci garantite il ritorno del nostro reparto a fine emergenza, magari approfittando dell'abbandono per eseguire lavori strutturali migliorativi?».
Medici e infermieri, alla luce della novità dei reparti accorpati per gestire i pazienti Covid, sanno che prevedere la durata del provvedimento non è facile e quindi converrebbe riuscire a progettare un'organizzazione calibrata sull'ipotesi peggiore, che potrebbe essere di sei mesi. In tal senso, secondo i professionisti, sarebbe importante che le equipe non venissero smembrate.
Poi le richieste diventano "tecniche" ed entrano nel campo di una piena funzionalità dal punto di vista sanitario, nell'interesse ovviamente dei pazienti e del personale stesso. La lunga relazione - viene scritto - è stata inviata anche ai relativi ordini professionali e ai sindacati, per una questione di trasparenza. Perché «tutti siano partecipi della situazione di precarietà che da troppo tempo viviamo». Ora la speranza è che questi medici e infermieri, che per due anni hanno remato in un'unica direzione ben oltre i propri compiti, possano avere delle risposte e soprattutto delle soluzioni concrete. E la speranza è anche che il problema non sia in realtà più esteso e riguardi, magari in altri termini, anche altri reparti.