Mille euro per i falsi tamponi, ora tremano i clienti: sequestrato il registro con i nomi e gli importi
Identificate decine di persone che si erano rivolte al centro di Pergine per pilotare il risultato dei test. Al telefono l’infermiere parlava di “rose”, anziché di euro per farsi capire
TRENTO. Sul "libro mastro" l'infermiere Gabrielle Macinati, la moglie ed i tre collaboratori segnavano nomi, date e pagamenti, compresi i proventi illeciti. Il registro è stato sequestrato, come la busta con mille euro che un cliente ha consegnato dietro il separè dell'ambulatorio di Pergine: l'uomo non era stato sottoposto a tampone, ma ufficialmente è risultato positivo al prelievo e dunque "in regola" per ottenere il greenpass.
Se i cinque indagati devono rispondere di pesanti accuse - associazione a delinquere, corruzione, falso e accesso abusivo al sistema informatico collegato con Azienda sanitaria e Ministero - ora tremano anche decine di clienti che hanno pagato per un risultato falso del tampone: alcuni sono già stati "riconosciuti", altri verranno identificati nei prossimi giorni e denunciati per corruzione e induzione al falso.
È partita lo scorso dicembre la doppia indagine di carabinieri della sezione di polizia giudiziaria della procura e degli uomini della guardia di finanza che ha portato alla chiusura del Centro tamponi allestito da Macinati presso il centro sportivo di Pergine, in località Costa, e del secondo ambulatorio aperto solo da pochi giorni in via Senesi a Trento. Un'operazione lampo dato il rischio per la salute pubblica e la necessità di bloccare quanto prima il "giro" di tamponi facili che rappresentava una macchina da soldi per i cinque indagati: 120mila euro in contanti sono stati sequestrati all'infermiere (per la maggior parte), alla moglie e anche ai collaboratori. Una situazione sfuggita di mano allo stesso Macinati, come trapela da ambienti investigativi.
L'infermiere, tra l'altro, si era rivolto proprio all'Arma un paio di settimane fa, quando trovò una microspia nei locali.Le verifiche di carabinieri e finanzieri, coordinati rispettivamente dai pubblici ministeri Davide Ognibene e Giovanni Benelli, sono partite da segnalazioni di persone che evidenziavano alcune stranezze nella gestione del Centro tamponi e che confermavano le voci raccolte nel Perginese.
Vero è che i prelievi presso l'ambulatorio al centro sportivo erano convenienti (10 euro l'uno con l'offerta a 80 euro per 10 tamponi), e che il servizio aveva orari favorevoli per i lavoratori (apertura alle 6 e pomeriggio fino alle 19), ma la procedura e la velocità delle operazioni aveva insospettito più di un cliente. Sì, perché serve un tempo tecnico per l'attivazione del reagente. Se in farmacia per un tampone si impiegano dagli otto ai quindici minuti fra le operazioni di identificazione, registrazione con la tessera sanitaria e test nasale, al centro di Pergine gli investigatori hanno cronometrato l'entrata e l'uscita dei clienti: c'era chi impiegava un minuto e mezzo fra prelievo prima e pagamento dopo. Una procedura così veloce che qualcuno lasciava il centro con un referto negativo, salvo poi arrivare un successivo responso di positività.
In un paio di giorni sarebbero stati riscontrati 4-5 casi di persone positive ma congedate con un risultato negativo che permetteva loro di girare in libertà. Da evidenziare che la maggior parte dei clienti che si rivolgevano al centro era in assoluta buona fede. Attraverso accertamenti tecnici, i carabinieri hanno potuto osservare l'attività di Gabrielle Macinati, unico infermiere del gruppo e di fatto unica persona ad effettuare i tamponi (come previsto dalla normativa), e dei suoi collaboratori, che con le credenziali del professionista entravano nel programma di Azienda sanitaria e Ministero ed inserivano i dati anche quando l'ambulatorio risultava chiuso al pubblico.
L'attività fuori orario del centro è stata monitorata dagli investigatori: che significato avevano quelle connessioni notturne alla piattaforma? Nell'ambulatorio di Pergine i conti non tornavano: venivano inseriti dai 500 ai 600 tamponi al giorno, a fronte di una media di 400-500 accertati durante le indagini. All'interno di quei locali, infermiere e collaboratori parlavano apertamente di prestazioni e di compensi.
Al telefono e nelle chat invece discutevano spesso di "rose": c'era la persona X che doveva versare 80 rose e il cliente Y che ne doveva portare 500. Non c'è voluto molto agli investigatori per tradurre quel linguaggio pseudo-criptato. Di "rose" i carabinieri ne hanno trovate ben 1.000 nella busta che un cliente ha portato in ambulatorio. Il soggetto era entrato nel separè per parlare con l'infermiere e poi uscito senza tampone e senza pagare; mezz'ora dopo era tornato con una busta che conteneva biglietti verdi, consegnata direttamente a Gabrielle Macinati, anche in questo caso senza sedersi e senza prelievo.
Nella busta c'erano 10 banconote da 100 euro. Mille "rose": pochi minuti dopo il soggetto sarebbe comparso nell'elenco delle persone positive.