Francesca, la maestra d’asilo di Fai partita per aiutare mamme e bambini dell’Ucraina
Ha 29 anni, e non ci ha pensato due volte, si è recata al confine in Romania in un istituto delle suore: «Io non riesco a voltarmi dall’altra, la guerra è orribile, e purtroppo durerà ancora, l’umanità ha fallito, tutti noi abbiamo fallito»
L'ORRORE Raid aereo sull’ospedale pediatrico: «Bambini sotto le macerie»
IMMAGINI Bombardamenti russi su Mariupol, colpito anche l'ospedale pediatrico
PROFUGHI Oltre 500 gli ucraini già arrivati in Trentino, verso un campo in Moldavia
SPORMAGGIORE. Accanto alle suore, aiuta madri, con figli e figlie. È stata al confine con l'Ucraina dal 25 febbraio al 6 marzo per dare un aiuto concreto. Ci tornerà nei prossimi giorni.
Francesca Bertò ha 29 anni. In tasca ha un diploma delle scienze sociali. Lavora nella scuola materna di Fai della Paganella, ma tutto il tempo libero che ha a disposizione lo dedica a chi ha bisogno, oggi agli ucraini. Domani vedremo. Non è nuova ad "esperienze forti".
Questa volta è partita da Spormaggiore in modo autonomo, senza appoggiarsi a qualche associazione. «Conosco due istituti di suore e negli ultimi 10 anni ho sempre portato loro supporto economico e alimentare. Quando mi hanno detto della necessità sono partita subito attivando una raccolta fondi».
È stata sul confine ucraino, nella città di Sighetu Marmatiei, dove viene accolta una parte dei profughi.
In cosa è consistito il tuo lavoro?
«Il mio lavoro era in supporto alle suore: rispondere alle telefonate dalla dogana per accogliere le persone, andare a prenderle e portarle nelle strutture, dare loro un pasto e tutto il necessario, preparare i letti, occuparmi dell'organizzazione dei viaggi delle persone ucraine, organizzare gli spostamenti in altre città della Romania o in aeroporto o in Italia e Germania. Io stessa ho portato in Italia tre persone ucraine, una ha raggiunto la zia a Torino, le altre due (mamma e figlia) le ho portate a Trento all'associazione Rasom».
Qual è il momento più difficile in questo contesto?
«La notte. È proprio la notte che arrivano. Di notte si riesce a passare più velocemente senza molti controlli e tantissimi riescono ad attraversare il fiume».
Adesso sei in Trentino.
«Sì, ma qui continua il mio lavoro di raccolta fondi e sto organizzando dei tir con raccolte di ogni bene per consegnare direttamente in Ucraina e una parte alle suore. Conto di tornare al confine tra Romania e Ucraina nei prossimi giorni».
Cosa ti spinge a fare ciò che fai?
«Non sono mai riuscita a girarmi dall'altra parte. Di fronte alle difficoltà di altri ho sempre cercato di tendere la mia mano, sacrificando anche la mia vita, il mio tempo libero. Io sono fortunata: vivo in un posto bellissimo, ho una famiglia che mi ama. Quando si vede gente scappare dalla guerra, come si può fare finta di nulla? Quando sono a casa mi sento inutile, quando aiuto sento di essere nella parte giusta, sento di dare il valore giusto alla mia vita. Vivo per i bambini, loro sono il futuro, la loro sensibilità e la loro innocenza mi fanno capire che tutto il male può essere sconfitto. Se vogliamo cambiare, diventare un mondo migliore è proprio dai bambini che dobbiamo partire, dobbiamo dare loro la possibilità di credere che il posto dove viviamo può essere migliore di questo».
Anche in questi giorni sono i bambini la tua priorità. Come devi comportarti con loro? Che lingua parlate? Cosa ti dicono, loro e le loro madri?
«Da 10 anni vado in Romania, gli istituti delle suore accolgono i bambini rumeni, che vivono in situazioni particolari, quando sono lì mi sento a casa, circondata da tutto l'amore. Io parlo rumeno, con le suore parliamo un po' italiano e un po' rumeno. Con gli ucraini abbiamo parlato inglese e ho supportato le suore nelle traduzioni. Ci parlano di una situazione tragica. Una mamma di Kiev è rimasta con il suo bambino chiusa in cantina: ci sono rimasti per una settimana; quando è arrivata dalle suore ha voluto subito andare nel giardino, a vedere la luce, respirare aria e far giocare il suo piccolo. La gente mi racconta di continui aerei che passano, del terrore che si prova nel sentire le sirene, per poi scappare sotto terra. Una ragazza che conosciamo e si trova a Cernihiv, ha scavato con la sua famiglia un buco sotto il loro pollaio e sono nascoste là. Non riesce a scappare, non riesce a raggiungere nessun punto di libertà, sta finendo il cibo, ha freddo. Quando non risponde alle mie telefonate sto male. Mi sto mobilitando tramite amici per riuscire a portarla via da lì, ma è difficile. Ho assistito bambini con crisi isteriche: non riescono a dormire, sentono bombe, aerei, urlano e non si riescono a tranquillizzare. E il cuore ti va in mille pezzi».
Cosa pensi di questa guerra?
«La guerra è inutile. Nel 2022 non pensavo di vivere una cosa simile. La mia nonna mi ha sempre raccontato della sua seconda guerra mondiale e io pensavo che al giorno d'oggi non potesse più succedere. Le guerre sono fatte da persone che non si conoscono e si uccidono per gli interessi dei potenti, di chi vuole arricchirsi alle spalle di chi soffre. Non credo finirà tutto a breve ed è per questo che dico che l'umanità ha fallito, ha fallito qualsiasi tipo di trattativa. Tutti noi abbiamo fallito».
Cosa hai trovato in Romania?
«In Romania ho trovato un popolo che ha saputo offrire tutto quello che aveva, ha accolto senza chiedere nulla, senza distinzione e mi sono commossa difronte a tutto questo ed ho capito che nel mondo c'è sempre una piccola luce di speranza».
In questi giorni abbiamo assistito alle reazioni più diverse: lezioni di letteratura russa sospese, esclusi gli atleti russi paralimpici, licenziato il direttore d'orchestra della Scala. Che idea ti sei fatta?
«Credo che la dittatura sia questo: chiudere gli occhi e non informare. Anche questa è una guerra. Penso che il popolo russo non sia mai voluto arrivare alle armi, ma siamo di fronte all'interesse di una sola persona. I cittadini russi loro malgrado ne subiscono le conseguenze e il popolo ucraino scappa. L'idea di vivere sotto un regime di quel tipo fa molta paura. Voglio far capire a tutti, che è il momento di agire, di stare al fianco di tutta la popolazione ucraina, di alzare la voce».