Nuovo ospedale di Trento, i medici: «Siamo in emergenza, è ora di fare scelte coraggiose: nominate un commissario»
Il presidente dell’Ordine, dottor Ioppi, l’ancia l’allarme: «Il Santa »Chiara era inadeguato 15 anni fa: mancano i bagni in camera, il percorso pulito/sporco non c’è, mancano spazi per i vistatori, e allora...»
TRENTO. «È il momento di fare scelte coraggiose. E di cercare soluzioni d'emergenza come quella di un commissario. Il presidente dell'Ordine dei medici Marco Ioppi sul tema del Not è preoccupato e non lo nasconde. Perché sa che la questione è ingarbugliata ma sa anche che il Santa Chiara non può permettersi altri 10 anni d'attesa. «È escluso».
Quanto tempo ha ancora il Santa Chiara?
«È stato dichiarato inadeguato 15 anni fa, forse di più. Già allora gli spazi per il personale e per i pazienti erano insufficienti. Successivamente con le nuove regole Covid e le nuove esigenze dettate dalla facoltà di medicina, questa esigenza è diventata ancora più impellente. C'è bisogno urgente di un ospedale».
L'inadeguatezza della struttura rischia di influire sulla qualità dei servizi offerti?
«No, ma solo perché annualmente si compiono lavori di adeguamento. Quell'ospedale è un continuo cantiere. Nelle aree di degenza ci sono ancora stanze a sei letti, alcune non hanno il bagno, in alcune si ospitano maschi e femmine indifferentemente. E le condizioni di degenza sono parte essenziale del percorso di cura. E poi devono essere distinti i percorsi pulito e sporco, e quelli per pazienti e visitatori. Al Santa Chiara tutto questo non c'è».
Ma è un ospedale sicuro?
«Sì, lo è. Ma per garantire questa sicurezza si deve spendere tantissimo, in attenzioni e procedure costose in difesa dei pazienti che, con una struttura diversa, sarebbero pressoché gratuite. Il Santa Chiara ha l'accreditamento della Joint commission, ma a prezzo di grandi sforzi».
Insomma, serve una soluzione a breve, ma realisticamente sembra difficile averla nell'attuale quadro giuridico. Lei ha sollevato la possibilità di ragionare di un commissario.
«Serve trovare una soluzione emergenziale, perché questa è già un'emergenza sanitaria. Per questo, per superare le difficoltà amministrative, una soluzione potrebbe essere quella di considerare l'ipotesi del commissario con pieni poteri, come per il ponte Morandi. Altrimenti nel 2030 saremo ancora a questo punto».
Che si può fare?
«So che se fosse facile trovare una soluzione, l'avrebbero già trovata. Ed è chiaro che questa giunta provinciale non ha responsabilità, per una vicenda che nasce anni fa e sulla quale è anche poco utile rincorrere errori. Adesso serve una soluzione. Come possiamo uscirne? Forse con un atto di estremo coraggio. Un esempio l'abbiamo avuto, in Trentino».
Quale?
«L'ospedale di Arco. Era bloccato da 10 anni, da ricorsi e contro ricorsi. Gli amministratori di allora, se non ricordo male Giovanazzi ai lavori pubblici e Conci alla sanità, hanno deciso di continuare l'opera, nonostante i ricorsi. Hanno deciso a loro rischio e pericolo, anche rischiando di andare incontro a cause civili. E hanno finito l'ospedale. Qualcuno deve prendersi la responsabilità di dire: non attendo, vado avanti. L'opera è necessaria e la realizzo, e sono pronto a resistere a qualsiasi ricorso e anche ad eventuali giudizi negativi, ben sapendo che, in ultima analisi, la mia decisione è supportata da una ragione che è quella dell'utilità pubblica. Altrimenti qui non ne usciamo».
In questo quadro, lei rivedrebbe il progetto?
«Io dico che questo progetto è frutto di un disciplinare pensato prima che a Trento avvenissero due fatti importanti: la pandemia, con le nuove esigenze e l'università di medicina».
Adesso si discute della sua ubicazione. Lei valuta utile immaginare di farlo sorgere in un luogo diverso da via al Desert?
«Credo che lì a Ravina sarebbe un ospedale già dentro alla città, che non è esattamente quello che servirebbe. Al nuovo ospedale serve un edificio molto grande, con degli spazi attorno, che non siano limitati e ristretti. Perché gli ampliamenti sono ormai all'ordine del giorno in qualsiasi struttura pubblica, che deve rispondere a delle esigenze sanitarie, che hanno delle regole e un'evoluzione molto rapida perché la sanità ha uno sviluppo fortemente legato all'innovazione».
L'ipotesi Mattarello sarebbe meglio?
«Sì, un'area come quella. Ma quel che importa ora è, come detto, riuscire a trovare un percorso, anche con gli organi preposti dello Stato, per superare l'inghippo burocratico. Siamo in emergenza».