Nuovo ospedale di Trento, la proposta di Stefenelli: «La Provincia ha fatto molti errori, lasci la parte tecnica all'Azienda Sanitaria»
Il medico propone una analisi del sistema sanitario e chiede una soluzione rapida: «non si può insistere con pervicacia nell’affidare tutto a un Servizio tecnico, dall’area Music Arena alla sanità»
TRENTO. Il dottor Carlo Stefenelli, medico, già amministratore (a Levico), ha le idee chiare: il Nuovo ospedale di Trento (NOT) va fatto urgentemente. E per uscire dall’impasse, la Provincia dovrebbe liberarsi dell’incombenza tecnica (oggi in mano al dirigente De Col), e delegare l’Azienda Sanitaria.
Scrive Stefenelli nella sua riflessione: «La recente drammatica pandemia, che ha messo in crisi l’intero sistema sanitario nazionale, e la carenza per i prossimi anni di medici, soprattutto in possesso del diploma di specializzazione nelle diverse discipline, devono indurre ad una nuova politica di riorganizzazione e razionalizzazione del Sistema Sanitario del Trentino.
Tale riorganizzazione non può prescindere da una rapida soluzione del problema del Nuovo Ospedale Trentino che si trascina da 20 anni con una colpevole inerzia dell’amministrazione provinciale. La gestione tecnica e procedurale sempre pervicacemente mantenuta in capo al Servizio Tecnico Provinciale è stata caratterizzata da numerosi errori di valutazione. Al riguardo ci si chiede perché i vertici provinciali degli ultimi 20 anni abbiano deciso di affidarsi in toto ad un servizio che si occupa di tutto, dalla realizzazione della Music Arena a tutte le importanti opere pubbliche nei diversi settori. Non sarebbe stato meglio affidare tutta la gestione della realizzazione del nuovo ospedale alla struttura tecnica dell’APSS che risulta essere dotata di tutte le professionalità necessarie con conoscenze nel settore sicuramente superiori rispetto ai tecnici provinciali che in campo sanitario non possono vantare esperienze specifiche?
Al di là del problema costituito dal blocco del NOT ed occupandoci dell’intero sistema sanitario provinciale, in primo luogo va contrastata con decisione l’idea propugnata dall’attuale giunta di istituire il cosiddetto “Ospedale diffuso” vale a dire la realizzazione di reparti specialistici negli ospedali periferici. In secondo luogo si dovrà spostare dall’ospedale al territorio tutta una serie di attività sino ad oggi affidate ai medici ospedalieri, quali ad esempio i centri anti-diabetici e per l’ipertensione arteriosa, che dovranno venir gestite dalle associazioni dei medici di base supportate da specialisti consulenti collegati con l’Ospedale: la ormai prossima costituzione delle “Case della Comunità” dovrà supportare questo spostamento in un luogo più vicino al cittadino di attività sin qui centralizzate negli ospedali.
La rete ospedaliera pubblica deve essere ripensata con spinta verso la dipartimentalizzazione delle diverse attività e specialità con un ruolo centrale di coordinamento per lʼ ospedale di secondo livello (S. Chiara di Trento, oggi, Nuovo Ospedale Trentino-NOT, domani): si deve, in sostanza, costituire una sorta di “ospedale unico provinciale”, organizzato in dipartimenti con articolazioni periferiche negli ospedali di valle. Il concetto cardine deve essere quello di garantire anche nelle strutture periferiche di valle prestazioni specialistiche di qualità.
Tale qualità dipende anche e soprattutto dall’esperienza e dalla casistica di ogni singolo operatore ed è direttamente proporzionale al numero di pazienti visitati e di anni di lavoro e di apprendimento svolti in ambienti adeguati sotto la guida ed in continuo confronto con i medici più esperti. Si deve sostituire alla mobilità dei pazienti quella dei medici specialisti e degli operatori sanitari, con il miglior utilizzo delle tecnologie informatiche, in modo da evitare ai cittadini lʼ obbligo di trasferimenti verso il capoluogo per avere una prestazione allʼ altezza delle aspettative.
In termini di proposta:
- negli ospedali periferici devono coesistere i medici residenti, con lʼ obbligo di garantire i servizi previsti per lʼ ospedale “di base”, con consulenti provenienti a rotazione dal NOT, in un continuo interscambio di esperienze e di informazioni a tutto vantaggio dell’arricchimento degli operatori sanitari e dell’adeguatezza della prestazione resa ai pazienti;
- si deve realizzare piena collaborazione fra pubblico e privato nell’erogazione dei servizi sanitari, che nella nostra organizzazione è di natura esclusivamente pubblica, sia quando erogata direttamente dall’azienda sanitaria sia quando prestata da strutture private accreditate
- le strutture private possono garantire le prestazioni, in particolare modo specialistiche ambulatoriali, nelle zone a maggior densità abitativa (come il capoluogo), in modo da sgravare lʼ ospedale pubblico che potrebbe così consentire ai propri operatori quella mobilità a rotazione negli ospedali periferici cui ci si riferiva sopra. Si eviterebbe così anche il fenomeno della mobilità dei pazienti dal centro alla periferia per lʼ esecuzione di indagini negli ospedali periferici con necessità di spostamenti che provocano disagi e rischi di incremento del traffico automobilistico
- va ulteriormente valorizzata lʼ attività svolta dalle strutture accreditate nel campo della riabilitazione e della lungodegenza: tale funzione ha raggiunto livelli di prestazione elevati con le case di cura di Arco che fungono da polo dʼ attrazione per pazienti extra-regionali, contribuendo a ridurre il saldo passivo della mobilità interregionale che penalizza il bilancio sanitario provinciale.
Per quanto riguarda la medicina territoriale si deve incentivare il “lavoro di gruppo” dei medici di base, favorendo anche unʼ attività specialistica di professionisti allʼ interno di poliambulatori dotati di strumenti diagnostici idonei per dare risposte alla maggior parte delle esigenze degli assistiti, senza dover ricorrere agli ospedali, da riservare solo alle patologie più gravi che richiedano inderogabilmente un ricovero: la sede deputata a questo lavoro di gruppo, adeguatamente supportato da personale amministrativo con lo scopo di sgravare di lavoro burocratico medici ed infermieri, sarà la “Casa di Comunità” prevista dal Governo Nazionale che dovrà interagire con l’ospedale di comunità previsto dalla proposta del governo nazionale» conclude il medico.