Costi alle stelle, chiudono le stalle, latte e formaggi a rischio: Trentingrana si ferma, Pinzolo chiuso fino a Natale, stop alle forniture di Uht
Una vera tempesta sul mondo degli allevatori: ogni settimana chiude una grossa stalla, e aumentano i capi macellati. La Federazione: «Occorre tenere duro, ma chiaro che ci serve un aiuto»
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TRENTO. «Con la presente comunichiamo che a fronte dei costi energetici insostenibili e a seguito della chiusura di parecchie stalle e conseguenti cali di produzione della materia prima le referenze in oggetto non sono più disponibili». La mail è arrivata a parte dei clienti: bar, alcuni supermercati. Il mittente è la Latte Trento.
Le referenze in questione sono il latte Uht intero e il latte Uht parzialmente scremato. Sono solo tre righe, ma in quelle parole asciutte si fotografa, in modo immediato, la crisi di un intero settore. Che presenta numeri da brivido.
Nel maggio scorso erano 13 le aziende che si sono viste costrette a chiudere i battenti. Da allora, mano a mano che la situazione peggiorava, si aggiungevano ulteriori vittime di una crisi di cui, per dirla con le parole del presidente di Latte Trento Renato Costa, «non si vede la fine».
L'ultima azienda a gettare la spugna è una stalla di Fiavé. 180 animali, una di quelle grandi, strutturate, moderne. Per molti aspetti, un punto di riferimento del settore. Eppure non ce l'ha fatta. E adesso le conseguenze arrivano fino ai banchi: Latte Trento ha tolto dalla produzione il marchio alpino e fermato il mercato extra provinciale.
Per la linea di alta qualità «il Meglio di noi», si fanno solo consegne parziali. E sono state bloccate le produzioni di Trentingrana fino a dicembre, mentre il caseificio di Pinzolo rimarrà chiuso fino a dicembre, quindi a breve mancheranno sui banchi anche Spressa delle Giudicarie e prodotti Bio.
Nonostante tutto, si cerca di andare incontro alle aziende zootecniche: la prossima settimana in Cda si cercherà di deliberare un aumento degli acconti. Ma la situazione è difficilissima.
«La crisi c'è e il rischio concreto è di perderne ancora aziende - spiega il presidente di Latte Trento - Noi ribadiamo le difficoltà dallo scorso febbraio».
La vicenda del latte Uht è la cartina al tornasole di un settore che annaspa. I conti sono stati fatti tante volte, in questi mesi. La bolletta del gas di novembre 2020 in Latte Trento era di 61.276 euro. Quella di novembre 2021 era di 205.825, e rispetto a quella di novembre prossimo le prospettive sono di una lievitazione ormai fuori controllo. E le aziende zootecniche, quota parte, soffrono i medesimi problemi: la luce è cresciuta di 3 volte, il gas di 3 volte. A cui si aggiungono i costi altrettanto schizzati verso l'alto ormai da metà del 2021 delle farine. E del fieno, ormai raddoppiato, in termini di costi. E se si trova, perché ormai la dinamica è chiara: chi ha "fermato" la quantità che gli serve, dal fornitore di fiducia, ha la ragionevole certezza di trovare fieno fino a maggio.
Gli altri, chi si mette sul mercato oggi a cercare un carico, rischia di non trovarlo proprio, il foraggio da dare alle proprie mucche. In questo contesto, le aziende cercano di scavallare come possono. La maggior parte ha asciugato l'attività: in federazione allevatori, per dare un dato, fino a luglio scorso nel 2022 c'è stato un aumento del 25% di capi da macello, rispetto all'anno prima.
Questo significa che non appena un animale produce poco, o comunque meno, o ha qualche problema, costa troppo e si sopprime. Ma anche così tante aziende non ce l'hanno fatta. Sono venti quelle che hanno rinunciato perché i conti non tornano. E in queste venti c'è un po' di tutto: non è solo una questione di dimensioni. Soffrono le piccole, ma anche le grandi. Il trend tocca tutti, ma il Lomaso in particolare sta pagando un prezzo piuttosto alto a questa crisi: da febbraio ad oggi hanno chiuso un'azienda da 60 capi, una da 110 e una, l'ultima in ordine di tempo, da 180 capi. A ciò si aggiunge un'azienda da 400 capre.
«Solo tra Lomaso e Fiavé mancheranno 400 animali da latte, rispetto agli anni scorsi» commentano in queste ore in Federazione.Ovvio che questo impatta sull'attività dei consorzi. Se le aziende non ci sono, non c'è il latte. Questo, aggiunto al problema dei costi, obbliga a scelte sofferte. Da qui la lettera: niente latte a lunga conservazione. Ma è solo l'inizio. «La situazione è molto difficile - osserva il direttore di Latte Trento Sergio Paoli - ci sono le stalle chiuse, ma anche meno conferimento di quelle rimaste. I costi da più di un anno sono insostenibili sia in stalla che soprattutto in latteria, che ormai ha raggiunto incidenze di sola energia al 25 % sul fatturato rispetto al 3 % degli ultimi 10 anni, con bollette da 1 milione di euro al mese al posto di 100000». In questo contesto l'attività ne risente: «Per il momento abbiamo tolto dalla produzione il marchio Alpino e fermato il mercato extra provinciale.
Se le stalle non ce la fanno, non c'è latte da lavorare. Per questo serve un sostegno. L'ipotesi sul tavolo è quella di un aumento degli acconti. Si deciderà in settimana. Ma serve qualche sostegno serio: i 2,2 milioni messi da Codipra sono stati utili, ma certo non sufficienti.
Gli allevatori. «Il punto è che ora chiudono le stalle grandi, quelle che fanno il latte. Non sono già più i piccoli a dover gettare la spugna, ma appunto quelli più solidi. E, purtroppo, le stalle che chiudono non riapriranno più». A parlare è Giacomo Broch, presidente della Federazione provinciale allevatori. Broch, 45 anni, nato in Primiero e titolare dell'azienda agricola che opera a Passo Cereda e impegnata nell'allevamento di bovini da latte, di carattere è un lottatore, uno che non molla facilmente. E infatti l'appello che fa è rivolto direttamente ai colleghi allevatori: «L'invito è a tenere duro. Capisco bene che quando i conti non tornano è dura, ma dobbiamo tutti cercare di non mollare».
Poi l'analisi: «La grande preoccupazione è di perdere un capitale enorme: se i consumatori non trovano i nostri prodotti nei supermercati vireranno su altri. E sappiamo bene che i mercati chiedono continuità. In questi anni le nostre dop e le nostre eccellenze hanno ricevuto grandi riconoscimenti, anche dai turisti. E le tante iniziative - penso alle desmontegade, ad esempio - hanno avuto grande successo e una grande visibilità. Diciamo che il bellissimo percorso fatto è a rischio. Bisogna intervenire sui caseifici, sul latte di vacca, perché è indispensabile garantire il prodotto. Ma ribadisco: noi siamo orgogliosi e andiamo avanti».
Il presidente di Coldiretti Gianluca Barbacovi: «La situazione è veramente preoccupante. Anzi, più che preoccupante: c'è esasperazione. E purtroppo qualcuno ha già dovuto chiudere. Le soluzioni non sono semplice: ci sono gli aiuti di Codipra, poi gli oltre 6 milioni della Provincia, che speriamo vengano liquidati il più in fretta possibile, e a breve uscirà il decreto sul credito d'imposta. Ma il tema più grave è che rispetto al futuro c'è grande incertezza e questo genera paura».
Gli aiuti pubblici non sono l'unica medicina: «Quelli vanno bene, ovviamente, e sono fondamentali. Ma poi deve esserci una riflessione interna del settore. L'appello che facciamo noi è sempre rivolto ai consumatori finali, affinché scelgano sempre i prodotti trentini, aiutando così la nostra economia».
Già prima dell'estate il presidente di Trentingrana-Concast Stefano Albasini aveva parlato di una situazione complicata attraverso le colonne della rivista della Federazione "L'Allevatore trentino". «Dallo scorso ottobre si è avuta una drammatica impennata dei costi e si è andato così a consolidare un trend che in realtà era già in atto da diversi mesi. Ciò ha riguardato in primis le aziende a monte della filiera, con un aumento importante dei costi dei mangimi e poi la struttura consortile, per via degli incrementi nei costi dell'energia e degli imballaggi. Una congiuntura di simile difficoltà non si vedeva dal secondo dopoguerra e c'è davvero il rischio che i comparti zootecnico e lattiero caseario siano compromessi, con notevoli conseguenze su tutto il territorio trentino e la sua immagine».
Nella propria relazione primaverile Stefano Albasini aveva spiegato che «Se non si interverrà in maniera importante, questa situazione di accrescimento dei costi porterà a risvolti drammatici con la chiusura e il ridimensionamento di molte aziende zootecniche». Una previsione che si sta drammaticamente realizzando.