Infermieri via dall'Apss fra part-time negati, orari pesanti e offerte allettanti in Alto Adige o nel privato
La scelta di lasciare l'Azienda sanitaria è legata per molti sia all'esigenza di una migliore conciliazione tra lavoro e famiglia, sia al livello salariale che risulta essere inferiore rispetto al settore privato o al pubblico in provincia di Bolzano. E l'Azienda sanitaria altoatesina ha messo in atto una forte "campagna acquisti" rivolta anche al Trentino
LA REPLICA "Nessuna fuga di infermieri dall'Apss, ecco i numeri"
TRENTO. Il riconoscimento delle funzioni specialistiche per infermieri e professionisti sanitari che hanno un master o laurea magistrale è un passo avanti per "trattenere" o attirare" professionisti ma in realtà, per la maggior parte di coloro che lavorano in Azienda sanitaria, i problemi sono altri. I mal di pancia interni sono legati al blocco del part-time, ai carichi di lavoro eccessivi e stipendi inferiori rispetto a chi lavora nelle strutture private o nella vicina provincia di Bolzano.
Sono stati decine gli infermieri che negli ultimi mesi hanno presentato le dimissioni per andare a lavorare altrove.
M. lavorava in val di Fiemme. Era dipendente dell'Azienda sanitaria trentina dal 1998. Ospedale, ambulatoriali, servizi territoriali. Ha fatto un po' di tutto. Quando sono nati i due figli ha chiesto il part-time. Ed è proprio questo il motivo che l'ha spinta a dimettersi per andare a lavorare nel privato. «Da tanto tempo chiedevo un part-time definitivo perché non si può vivere sempre nell'incertezza che te lo confermino o meno. Io ero fortunata perchè comunque lavoravo 30 ore a settimana dal lunedì al venerdì, ma c'era sempre il timore che le cose potessero cambiare. In passato avevo fatto una domanda nel privato. Mi hanno richiamato loro a distanza di tempo. All'inizio ero titubante, ma poi ho accettato. Quando sono andata al colloquio il medico mi ha chiesto che orario volevo fare. Ho detto che mi sarebbe piaciuto lavorare dalle 8 alle 12 e 30 e lui ha subito accettato. Alla fine, per mia volontà, faccio anche una giornata a tempo pieno e arrivo a 26 ore complessive, ma prendo lo stesso stipendio di quando ne facevo 30 perché ho la 14esima. Mi dispiace aver lasciato l'Azienda perché con le mie colleghe mi trovavo bene, ma le condizioni che mi offrivano erano troppo allettanti».
Da parte dell'Azienda nessun tentativo di trattenerla nonostante i 15 anni di esperienza maturati. «Ho dato le dimissioni, ho lavorato i due mesi del preavviso e poi me ne sono andata. Nessun rimpianto, sono felice così».
A spingere altri ad andarsene sono anche ragioni economiche. L'Azienda sanitaria di Bolzano sta facendo una forte "campagna acquisti" anche in Trentino. Vengono chiamati medici, e anche infermieri. Ad allettare, oltre ad una maggiore flessibilità, sono le buste paga che offrono.
«Io - spiega una dipendente che ha optato per Bolzano - guadagnavo poco più di 1.700 euro e ora sfioro i 3 mila. Questo grazie anche all'indennità di bilinguismo e ad un'indennità integrativa speciale che è stata concordata. Certo devo spostarmi ogni giorno, ma a Bolzano posso sempre chiedere il part-time se in futuro il viaggio dovesse risultarmi faticoso».
Una certa quota di professionisti, poi, è stata invogliata delle proposte delle strutture private che operano sul territorio, sia a Trento che a Rovereto e Arco. In media la paga è di circa 300 euro in più al mese o in alternativa i privati sono disponibili ad offrire contratti part-time all'80% con la stessa retribuzione che i professionisti prendevano facendo tempo pieno in Azienda. Preoccupati di questa fuga sono i sindacati che da tempo sollecitano l'Azienda a prendere provvedimenti affinché quest'emorragia di professionisti cessi, ma mettono anche in guardia chi se ne va, specie nel privato: «All'inizio sembrano tutte rose e fiori, ma poi sono convinto che tanti ritorneranno. Era già accaduto negli anni '90 quando in molti optarono per la libera professione e poi rientrarono. É anche vero che la fuga di questi mesi è davvero massiccia. A Bolzano pagano di più e consentono di conciliare meglio lavoro e famiglia. Da noi il part-time è bloccato da anni e quest'anno anche chi ha 3 o 4 figli non se l'è visto rinnovare perché, giustamente, vengono privilegiati quelli che hanno problemi di salute. In Alto Adige questo problema non c'è perché il part-time viene dato a tutti», spiega Paolo Panebianco della Fenalt. Poi c'è il problema dei carichi di lavoro.
«Io lavoravo nel settore delle cure palliative. Orari massacranti. Un peso emotivo molto forte. Sabati interminabili e impossibilità di recuperare il lunedì perché non c'era personale. Il Covid ha aumentato lo stress. Non so se cambiando, se andando in un'altra Azienda, le cose cambieranno ma ci provo anche perché ora andrò a fare altro. Per me andare avanti così non era più sostenibile».
Coloro che questi anni di pandemia hanno lavorato in reparto hanno voglia di riconquistare spazi per la vita privata. «Ho lavorato in Azienda sanitaria per 8 anni e ho visto continuamente aumentare il numero di notti e reperibilità da fare. Sono arrivata a 9 al mese. Avevo chiesto di essere trasferita, ma niente. Così ho accettato la proposta dell'ospedale San Camillo. Ora lavoro in sala operatoria, dal lunedì al venerdì. Niente notturni, niente festività, uno stipendio leggermente inferiore ma la mia qualità di vita è migliorata. Non ho mai fatto un Natale senza lavorare. Quest'anno sarà il primo da quando è nata mia figlia».