Punti nascita periferici: «Con pochi parti, sicurezza a rischio»
Dopo la tragedia all'ospedale di Cles, dove è morto un neonato, il presidente dell'Ordine dei medici, Marco Ioppi, che è ginecologo, interviene nuovamente nel dibattito relativo al ruolo dei presidi nelle valli
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TRENTO. Chi conosce bene il dottor Marco Ioppi, ginecologo nonché presidente dell’Ordine dei medici, sa benissimo che da anni sulla questione punti nascita ha sempre tenuto la barra dritta: in nome della sicurezza quelli troppo piccoli, in Trentino come altrove, dovrebbero chiudere.
Dopo la morte del neonato all’ospedale di Cles, indipendentemente dalle cause che saranno accertate nei prossimi giorni, l’argomento è quanto mai attuale.
Ma Ioppi non si sofferma solo sui punti nascita, ma in generale sul ruolo degli ospedali periferici, strategici per il funzionamento anche degli ospedali più grossi come quelli di Trento e Rovereto e soprattutto per la formazione degli studenti di medicina che dal prossimo anno dovranno entrare nei reparti.
Dottor Ioppi, partiamo dal caso del neonato deceduto a Cles. Cosa pensa al riguardo?
Facile adesso sottolineare il fatto che è accaduto in un reparto che assiste solo parti fisiologici. Ma noi sappiamo, purtroppo, che la complessità e la patologia anche grave in sala parto possono capitare anche senza alcun preavviso. E sta in questo la delicatezza della sala parto. Non abbiamo mai la certezza al 100% che una gravidanza e un parto possano essere fisiologici e possano quindi avvenire in reparti che non hanno tutti i requisiti per assistere un parto non fisiologico. Oggi non possiamo correre il rischio nemmeno di un caso su un milione che qualcosa possa andare storto. Le casistiche ci dicono che può capitare, ma per chi capita è una tragedia. Facile oggi dire l’avevamo detto. Facile ribadire che al giorno d’oggi possiamo superare le distanze, che possiamo mettere in condizioni tutte le coppie di fare 40-50 chilometri per raggiungere una sala parto.
Lo scorso anno a Cles i parti sono stati meno di 200, quest’anno siamo arrivati a 204. Secondo lei, da ginecologo, sono numeri sufficienti per tenere aperto un punto nascita?
Non ha senso, ma non lo dico io. Non ha senso perché tutte le società scientifiche dicono che sotto un certo numero di casi e senza la presenza di figure specialistiche e di servizi di supporto diagnostici e di rianimazione, non si può garantire sufficiente sicurezza.
Però a Cles l’altra sera c’erano sia il pediatra che il rianimatore.
Certo, ma un rianimatore che solitamente si occupa di adulti. Inoltre il pediatra non è un neonatologo, tanto che il neonatologo è stato chiamato da Trento ed è dovuto arrivare in ambulanza perché non c’era l’elicottero disponibile. Mettiamoci nei panni di questa coppia.
In questo caso non c’era stato nessun segnale che qualcosa potesse andare storto. Vien da chiedersi: se la stessa cosa fosse accaduta a Trento le conseguenze sarebbero state analoghe? Domanda dolorosa ma che è d’obbligo porsi.
Il tempo è spesso fondamentale. Cosa serve un neonatologo che viene da Trento che come minimo impiega 40 minuti per arrivare? Proprio il 17 novembre di parecchi anni fa era capitato a me: un bambino era morto di notte a Riva del Garda per un prolasso di funicolo che era stato compresso dalla testina. Situazione rarissima, ma per me devastante. Me lo ricordo come se fosse un figlio che ho perso.
Queste tragedie inevitabilmente segnano e sconvolgono anche i sanitari.
Ma certo. Proprio l’esperienza che ho vissuto mi ha fatto capire come noi dobbiamo essere esigenti quando parliamo di queste cose. Se noi offriamo alla coppia il massimo della nostra organizzazione togliamo qualsiasi senso di colpa ai pazienti e ai sanitari. Le mie parole di questi giorni sugli ospedali di valle sono stati fraintese, ma io volevo proprio dire questo. Che in ogni ospedale va fatto ciò che in base alle competenze, alle attrezzature a disposizione, alla struttura è possibile fare al meglio.
Cosa è stato frainteso?
Va innanzitutto detto che gli ospedali di valle giocano un ruolo importantissimo e se non ci fossero quello centrale non potrebbe andare avanti. Quello che contesto è che una sala parto non può certo fermare l’emorragia verso il centro. Ci sono altri sistemi, non certo le sale parto. Con numeri limitati come quelli di Cles e Cavalese noi ci mettiamo nelle condizioni di non dare il massimo ai cittadini e mettiamo in condizioni di estrema insicurezza anche gli operatori. Pensiamo ai professionisti della povera equipe della sala operatoria come vivranno in questi giorni e in futuro. Vivranno nell’insicurezza. Ci saranno indagini, inchieste e rimarranno i dubbi. Noi dovremmo parlare di queste cose, al di là del caso. Si dovrebbe fare un ragionamento serio sul fatto che abbiamo tantissimi inviti ed appelli a fare in un certo modo. In tutti gli ospedali ci si dovrebbe chiedere quale è la miglior risposta possibile al paziente. Non posso trattare un paziente a Trento se lo devo trattare a Padova: ci vuole la miglior cura, proprio perché abbiamo accorciato le distanze. Non possiamo pensare che sia un problema fargli fare qualche chilometro in più se non possiamo garantirgli la miglior cura. Se 20 anni fa una sala parto ci poteva stare a Riva, a Tione, a Borgo, a Cavalese, a Cles oggi non è più così. In 20 anni è cambiato tutto e non si può barattare il diritto alla salute con una manciata di voti. Ci sono servizi che possiamo tranquillamente offrire nelle valli e altri no.
Cosa si può fare quindi negli ospedali di valle?
Gli ospedali di valle devono avere un servizio di pronto soccorso e un servizio trasporto efficientissimo. Poi nei reparti si devono affrontare i casi di complessità compatibili ai servizi che troviamo in loco. Il reparto dell’ospedale periferico diventerà presto fondamentale anche per la facoltà di medicina. Dove mettiamo dal prossimo anno in poi i 60 studenti iscritti al corso di laurea? Li dobbiamo mandare anche negli ospedali periferici, nelle medicine, nelle chirurgie, nelle ortopedie, alla Pma di Arco, alla terapia del dolore o all’odontoiatria di Borgo, solo per fare degli esempi. Nelle valli ci sono tante eccellenze e saranno fondamentali per l’insegnamento. Semplicemente in nessun centro vanno fatte cose rischiose per il cittadino. La rete degli ospedali deve prevedere poi percorsi che vanno dalla periferia al centro e viceversa e questo deve valere sia per i medici che per i pazienti.