ROMA. Di mobilità alternativa, piste ciclabili, intermodalità, ferrovie comode si parla da decenni ma i passi avanti in Italia sono lenti, in altri paesi europei invece gli scenari sono radicalmente cambiati in pochi decenni.
Anche in Trentino inquinamento e incidenti stradali restano un problema. Nel capoluogo negli ultimi dieci anni si sono registrati 18 morti e 3.902 feriti di cui 554 pedoni e 575 ciclisti.
A livello provinciale, nel 2021 i morti sulle strade sono stati 25 e i feriti 1.533: stessi decessi dell'anno precedente, nonostante il 2020 sia stato segnato dal covid.
Ora una conferma arriva da uno studio che fotografa addirittura una regressione della mobilità alternativa.
Nell'era post pandemica gli italiani dicono addio ai giretti in quartiere e confermano, anche per il 2022, il ritorno all'auto privata. Sul trasporto pubblico locale, sostenibilità e infrastrutture, il Paese resta lontano dagli standard europei.
Mostra infatti, in sintesi, lo scenario che viene fuori dal 19° Rapporto sulla mobilità "Audimob - Stili e comportamenti di mobilità degli italiani" a cura di Isfort, l'Istituto superiore di formazione e ricerca per i trasporti, in collaborazione con il Cnel e con il supporto scientifico delle associazioni del Tpl, Agens e Asstra. Secondo lo studio, la mobilità pedonale, dopo l'esplosione del 2020, sembra non confermarsi: gli spostamenti a piedi nel 2021 scendono al 22,7% del totale, oltre 6 punti in meno rispetto al 2020, e nel 2022 (primo semestre) scendono ulteriormente al 19,7%.
In valore assoluto, la riduzione tra il 2019 e il primo semestre 2022 è stata pari al -14%.
L'auto, anche per il 2022, riconferma invece la sua ascesa: la quota modale raggiunge quasi la soglia del 65%, un punto e mezzo in più del livello pre-covid (era scesa al 59% nel 2020).
Nel 2021, il parco autovetture ha continuato a crescere ma non a ringiovanire: la sua età media è aumentata a 12,2 anni rispetto agli 11,8 del 2020. Il totale delle auto circolanti è appena sotto i 40 milioni (39,8 circa 100mila in più rispetto al 2019) con un tasso di motorizzazione salito a 67,2 veicoli ogni 100 abitanti (66,6 nel 2020).
Di mobilità sostenibile si è riparlato molto la settimana scorsa, in seguito alla tragedia della strada in cui ha perso la vita il noto ciclista veneto Davide Rebellin.
Dopo l'investimento mortale da parte di un tir, avvenuto nel Vicentino, si è riacceso il dibattito sulla sicurezza dei ciclisti in Italia (che in alcune zone è fra i peggiori d'Europa). E la sicurezza mancante rappresenta anche un freno alla diffusione dell'uso della bicicletta negli spostamenti quotidiani.
A ciò si aggiunge una organizzazione delle infrastrutture e dei servizi di trasporto non adeguata a creare condizioni favorevoli per un'alternativa comoda e sicura all'uso dell'inquinante auto privata.
E intanto il governo guidato da Giorgia Meloni taglia i fondi per le piste ciclabili.
"A partire dal 1°ennaio 2023 il bilancio dello Stato non avrà più un euro per le ciclabili urbane. Nella nota integrativa del Ministero delle Infrastrutture alla legge di bilancio, spunta il taglio totale dei fondi residui. Si tratta di 94 milioni di euro per gli anni 2023 e 2024, che erano rimasti nel Fondo per lo sviluppo delle reti ciclabili urbane e non ancora assegnati", scrive in un comunicato la ong ambientalista Clean Cities.
La nota riporta una comunicazione sull'argomento di Clean Cities, Fiab, Kyoto Club, Legambiente, Greenpeace, Transport & Environment e Cittadini per l'aria: "La transizione delle nostre città verso una mobilità sostenibile e a zero emissioni non può essere più procrastinata. La crisi climatica si aggrava, e ogni anno muoiono tra i 50mila e i 60mila italiani, a causa dei livelli di inquinamento dell'aria. È necessario offrire alle persone l'opportunità di muoversi in sicurezza usando la bici per raggiungere i propri luoghi di lavoro, di studio o di svago. Ad oggi molte non possono perché le strade sono il dominio incontrastato delle automobili.
"L'azzeramento delle (poche) risorse per la ciclabilità in legge di bilancio è una proposta inaccettabile - aggiungono le ong -, che ci riporta indietro di decenni, e che impedisce alle Amministrazioni locali di rendere le nostre città davvero ciclabili, riducendo l'uso dell'automobile privata. Va corretta immediatamente in Parlamento. Altro che azzerare i fondi: bisogna incrementarli".
Giorni fa le stesse ong avevano presentato il rapporto "Non è un paese per bici", nel quale chiedevano di investire 3,2 miliardi di euro (500 milioni all'anno fino al 2030) per costruire nuove ciclabili e portare l'Italia al livello dei paesi europei più sviluppati.