Luca Zeni con un piede fuori dal Pd: "Se la Schlein confermerà una impostazione massimalista, difficile mantenere aree di elettorato"
L'ex assessore provinciale alla salute non nega che una scelta radicale è fra le possibilità: «Il partito è in una fase di grande fluidità, sia a livello nazionale che locale, vedremo come andranno avanti le cose»
NUOVO CORSO Schlein: "Ora terreno comune con le altre opposizioni"
TRENTO. Uscire dal Pd? Ora ci sta pensando. «Il partito è in una fase di grande fluidità, sia a livello nazionale che locale, vedremo come andranno avanti le cose».
Luca Zeni, capogruppo del Partito democratico in consiglio provinciale, già assessore alla Salute della giunta Rossi e in procinto di concludere la sua terza legislatura, è sulla soglia. E non esclude più di poter dire addio al partito, al quale fu tra i primi ad aderire con entusiasmo nel 2008, quando aveva 29 anni e proveniva dalle fila della Margherita, come enfant prodige scoperto da Dellai. Allora, il giovane Zeni sostenne Enrico Letta alle primarie che portarono Walter Veltroni a diventare il primo segretario del nuovo partito.
Esponente della corrente del partito chiamata «Base Riformista», guidata da Lorenzo Guerini, che per semplificare raccoglie gli ex renziani che non sono usciti con Renzi, nell’ultimo congresso Zeni ha guidato il Comitato provinciale per Stefano Bonaccini e ha sostenuto la candidatura a segretario provinciale di Alessandro Betta, uscendo sconfitto su entrambe i fronti, con la vittoria di Elly Schlein a livello nazionale e Alessandro Dal Ri in Trentino.
Consigliere Zeni, Elly Schlein e Stefano Bonaccini hanno trovato un accordo unitario con la presidenza del partito offerta dalla segretaria al presidente dell’Emilia Romagna. Un buon inizio?
Certo, è molto positivo perché è quello che tutti auspicavamo. Ma è solo un primo passo, perché la presidenza è un ruolo di garanzia. Si vedrà nei prossimi giorni se ci sarà anche un accordo più ampio sulla segreteria, perché questo vorrebbe dire una forte unità alla guida del partito.
Un primo passo molto diverso rispetto a quanto accaduto a livello provinciale, dove il segretario Dal Ri ha negato la presidenza a Betta. Perché secondo lei?
C’è stata una differenza netta di approccio. A livello nazionale si è compreso, da entrambe le parti, che o si riescono a tenere insieme tutte le sensibilità o diventa davvero difficile tenere unito il partito. Qui non c’è stata la stessa volontà. L’impostazione è stata: abbiamo vinto e adesso decidiamo noi. Spero che dopo questo inizio un po’ così, ci sia la dimostrazione di voler lavorare in modo più condiviso e trasparente.
Pensa che altrimenti qualcuno se ne potrebbe andare dal Pd? Lei per primo?
Io credo che il livello nazionale e quello provinciale siano molto collegati. Nel primo caso ci sono state due proposte molto diverse e quindi, al di là della decisione di Bonaccini di accettare la presidenza, che è un ruolo di garanzia, dipenderà dai passaggi successivi. Se la Schlein confermerà una impostazione molto massimalista penso che sarà difficile mantenere non solo singoli esponenti del partito ma intere aree di elettorato e persone che non si riconoscono in impostazioni così populiste e semplicistiche. Se invece si cercherà di costruire una linea anche più riformista e approfondita allora il pericolo verrà meno. Si capirà più avanti
Quindi lei a seconda di come si metteranno le cose potrebbe decidere di lasciare il Pd?
Il tema è quello di riconoscersi in una impostazione in cui in gioco ci sono i tuoi valori e dall’altra una capacità di condivisione. Sicuramente questa è una fase di grande fluidità nel Pd. Sempre, costantemente, chi fa politica deve rinnovare il proprio riconoscimento dentro un percorso e fare le sue scelte di conseguenza, a meno che uno non aderisca in maniera acritica e ideologica, che non è la mia impostazione.
Qualcuno potrebbe pensare che ora vuole uscire dal Pd perché il neosegretario Dal Ri le ha detto che non potrà avere la deroga per la ricandidatura alle prossime elezioni provinciali e cercherà un’altra collocazione. È così?
Questo lo escludo. Escludo una mia candidatura in altre liste. Se il motivo fosse stato quello di trovare altre collocazioni lo avrei fatto molto tempo fa. Sia Renzi che Calenda mi avevano chiesto di andare con loro, ma non lo consideravo un progetto di lungo respiro. Io ragiono sul senso del mio impegno nel progetto, se lo trovo convincente ci sono, altrimenti no. Ho lavorato per costruire il Pd e ci ho sempre creduto. Ora si deve capire se cambierà e come e a livello locale se vale la pena impegnarsi o meno. Nella scorsa legislatura non mi ero riconosciuto, ad esempio, nella scelta di una parte del Pd di non riconfermare Rossi. Comunque poi avevo deciso di dare una mano sapendo che il quadro frammentato rendeva difficile la partita. Purtroppo di quella scelta sbagliata nessuno si è preso la responsabilità.
Darebbe una mano al partito senza candidarsi?
Certo, sarebbe possibile. Ma vorrei sottolineare che io non ho mai chiesto la deroga per la mia ricandidatura e non ho alcuna intenzione di chiederla. E magari il segretario, per una questione di stile od eleganza, avrebbe potuto aspettare che presentassi la richiesta prima di rispondere, anche perché la risposta spetta all’assemblea. Ma, ripeto, se non ti riconosci nel progetto non hai neanche gli stimoli per metterti a disposizione. Sono molto sereno.
Pensa che il centrosinistra possa riuscire a vincere le elezioni provinciali o è pessimista?
Spero che il centrosinistra riesca a costruire una proposta che risulti in grado di contendere a Fugatti la vittoria perché mi preoccupa molto questo governo di centrodestra. Lavorerò perché si riesca a mettere in campo una proposta con idee innovative, la maggiore carenza che vedo nell’impostazione è l’assenza di progettualità e l’idea di un passo diverso su temi come sanità, turismo, sostenibilità ambientale. Serve una leadership in grado di rappresentarla.
Ecco, da mesi ormai si discute della candidatura di Francesco Valduga. Lei non è tra i suoi sostenitori. Perché?
Ho sempre pensato che questo fosse un modo sbagliato di approcciarsi al tema della leadership, quasi per inerzia. Io per questo avevo chiesto un percorso più partecipato e non la scelta tra pochi a tavolino su due nomi. Al di là se possa piacere di più Tizio o Caio.
Quindi non vuole dirci perché non le va bene Valduga?
Ripeto: il tema è che progettualità è legata a quel nome rispetto a un altro.
Il Pd però il suo nome non ce l’ha o non lo ha ancora tirato fuori.
Il segretario ha detto durante il congresso che lo farà. Vedremo con quali criteri e modalità.
Lei come capogruppo si aspetta di fare parte della delegazione del Pd che parteciperà agli incontri di coalizione?
L’assetto è sempre stato quello della presenza di segretario, presidente e capogruppo. Vedremo se sarà confermato. Ma al di là di chi andrà, penso che fondamentale sia che prima venga condivisa la linea con un percorso dentro il partito, che dia un mandato preciso. È chiaro che se viceversa si intende andare un po’ sottotraccia, tenendo le cose occulte, non sarebbe il modo corretto di procedere.