Ictus non visto, si tratta sul risarcimento: la difesa dei cinque imputati ha chiesto un rinvio. Rossella: «Io ci sono»
L'accusa, per tutti, è di lesioni colpose gravissime in ambito medico: l'ipotesi è che vi sia stato un ritardo nella diagnosi, con un errore nella somministrazione dei trattamenti. Una ricostruzione che i sanitari imputati contestano: il giudice dirà se vi siano o meno responsabilità
IN AULA La storia di Rossella: ictus scambiato per «attacco emotivo»
IL CASO Val di Non: ictus non visto, via alla causa civile
LA LETTERA Rossella, l’ictus non visto e la battaglia per farsi sentire
TRENTO. La dolorosa storia di Rossella, la 25enne di Cles che dal 2020 affronta le terribili conseguenze di un ictus non visto, è approdata in tribunale a Trento, dove si è svolta l'udienza preliminare davanti al giudice Gianmarco Giua. Cinque sono i medici per i quali la procura, dopo l'incidente probatorio disposto dal gip - che aveva posto sotto la lente la posizione di tredici sanitari tra gli ospedali di Cles e Trento - aveva chiesto il rinvio a giudizio.
I fatti al centro del procedimento risalgono al 21 agosto del 2020, giorno in cui Rossella era stata accompagnata all'ospedale di Cles dai genitori: i problemi neurologici comparsi - secondo la ricostruzione degli inquirenti - vennero collegati ad un quadro di tipo psichiatrico. Venne trasferita a Trento e sottoposta a terapie, senza però alcun beneficio. Nemmeno la nuova Tac fatta il 23 agosto avrebbe mostrato anomalie. Il responso sarebbe arrivato il 24 agosto, dalla risonanza magnetica, che mise in luce il danno provocato dall'ictus, ovvero una trombosi aortica basilare.
L'accusa, per tutti, è di lesioni colpose gravissime in ambito medico: l'ipotesi è che vi sia stato un ritardo nella diagnosi, con un errore nella somministrazione dei trattamenti. Una ricostruzione, va detto, che i sanitari imputati contestano: il giudice dirà se vi siano o meno responsabilità.
Cinque sono le parti civili che hanno chiesto di costituirsi: oltre a Rossella, ci sono i genitori - la mamma Simonetta Tondon e il papà Maurizio Tomasella - e i due fratelli. Sulla loro ammissibilità dovrà pronunciarsi il giudice, che mercoledì 6 marzo ha accolto la richiesta dei difensori - gli avvocati Roberto Bertuol, Claudio Failoni, Massimo Zanoni, Nicola Stolfi e Giuliano Valer - di rinviare l'udienza per portare avanti la trattativa sul fronte del risarcimento del danno. Si parla di una richiesta plurimilionaria.
La vita di Rossella è stata irrimediabilmente segnata da quanto le è successo: nel 2020 avrebbe dovuto partire per Manchester, frequentare l'università ed insegnare italiano, invece è costretta a vivere su una sedia a rotelle. Si immaginava cittadina del mondo, invece la finestra di casa è il suo orizzonte. Anche la sua famiglia deve fare i conti con il peso emotivo, ma anche economico, di quanto è successo.In aula si tornerà dunque il prossimo 23 ottobre: resta da capire se in questi mesi l'assicurazione dell'Azienda sanitaria troverà un accorto con le parti civili che, a quel punto, "uscirebbero" dal processo penale.
Parti, che, finora sono rimaste distanti, tanto che la famiglia nei mesi scorsi si era detta pronta ad imboccare anche la strada della causa civile: «In oltre tre anni non abbiamo ricevuto alcuna proposta di risarcimento né aiuti», aveva spiegato la mamma. Ora, forse, qualcosa si sta muovendo. «Noi vogliamo solo garantire a Rossella una vita dignitosa, come lei ha chiesto più volte», ribadisce Simonetta Tondon dopo l'udienza. Mercoledì, in tribunale, era presente anche Rossella: «Non sta bene, è peggiorata, ma ha voluto venire, ha voluto dire: "Io ci sono", perché la sua testa funziona benissimo», sottolinea.
Una scelta faticosa, visto che anche la ricerca di una casa nuova non ha sortito risultati: ora la giovane e la sua famiglia vivono in un appartamento in affitto, senza ascensore e l'uso del montascale cingolato è un tormento. «Vorrei tanto una casa adatta a me per poter finalmente riprendere a lottare per quella normalità, per quella stabilità che da tre anni a questa parte ho sempre desiderato», le parole che Rossella ha affidato ad una lunga lettera in cui racconta la sua storia, rilanciata dall'associazione Uniamoci Trento, che ha deciso di affiancare la famiglia in questa battaglia. «La ringrazio del supporto - dice la mamma - Noi siamo qui per Rossella, ma anche per tutte le persone senza voce».