Mancano docenti: nonostante le "chiamate", tante cattedre senza professori, e il precariato impera
La scuola trentina si avvicina in affanno alla partenza delle lezioni. Ma l’intero sistema è in crisi, anzi: «in uno stato cronico degenerativo», dicono i sindacati
TRENTO. Ieri a mezzogiorno si è chiusa la procedura per la chiamata unica dei precari. Si tratta di oltre 2 mila insegnanti su 8 mila totali in Trentino a cui sarà assegnata una cattedra come supplenti. È una procedura informatizzata finalizzata a coprire le cattedre scoperte. Quindi tutto bene in vista di lunedì, quando torneranno a suonare le campanelle nelle scuole per la ripresa dell'anno scolastico? Macché.
Lunedì scatteranno le richieste di aspettativa di chi lascerà la cattedra per frequentare i corsi abilitanti - obbligatori - e quindi ci sarà un altro giro di valzer per le nomine di altri precari. Si ipotizza qualche centinaia di posti, forse trecento. E le segreterie scolastiche dovranno in poche ore andare direttamente a pesca di quegli insegnanti liberi.
La scuola pubblica trentina è dunque ancora con le gomme sgonfie e il via è tra pochi giorni. «Nei quadri dei posti disponibili, più di duemila, - dice Monica Bolognani, sindacalista della Cisl scuola, che sta masticando questa materia da tempo - abbiamo visto cattedre a orario pieno ma anche molti spezzoni, ovvero part-time, che corrispondono a retribuzioni sotto i mille euro mensili».
"Spezzoni" vuole dire che ci saranno precari chiamati a tenere cattedre solo per poche ore. E magari dovere andare da Trento a Tione, o da Trento a Moena per poche ore e quindi a stipendio ridottissimo. Per cui molti rinunceranno e negli istituti di valle ci saranno posti scoperti per molto tempo dopo la partenza dell'anno scolastico.
Secondo Bolognani quelli che avranno un posto dignitoso saranno un migliaio, gli altri dovranno stringere la cinghia. E non capisce - e non solo lei - perché non si possa fare il reclutamento prima e non a ridosso della partenza della scuola.
Bolognani spiega che nelle scuole dell'infanzia la situazione è peggiore: «La professione non è più socialmente riconosciuta, nelle scuole dell'infanzia l'insegnante è considerata quella che guarda il figlio, non un'insegnante. Molte docenti cercano di migrare verso la scuola dell'obbligo per cercare condizioni migliori, pur da precarie».
Così ci si ritrova con migliaia di docenti che sono precari, qualcuno ancora a 50 anni. «L'assessora Francesca Gerosa accusa i sindacati che criticano - dice Bolognani - ma noi abbiamo sempre fatto proposte, ma i problemi non si stanno risolvendo, i problemi del reclutamento non sono affrontati alla radice. Gli studenti non sono quelli di trent'anni fa. Del resto non si possono fare le riforme con le noccioline, servono soldi per scuole e sanità».
Pietro Di Fiore, segretario della Uil scuola non nasconde lo scoramento. Secondo lui c'è un problema, quello della stabilizzazione dei precari. Ma perché non si fa? «Perché costano di più. Per ogni insegnante stabilizzato bisognerebbe spendere mille euro, si tratterebbe di investire due o tre milioni di euro in più».
L'umore degli insegnanti è grigio, anzi nero. Di Fiore parafrasa Ligabue, citando «Una vita da precario. La media dell'entrata in ruolo di un insegnante precario è 50 anni. Siamo arrivati a uno stato cronico degenerativo. Non basta essere autonomi, bisogna anche esercitarla l'autonomia».