Società / Intervista

La psicologa Bommassar: «Ragazzi ipercontrollati dal vivo, soli online»

L'analisi della presidentessa dell’Ordine degli psicologi del Trentino: «Sanno benissimo di non poter avere certezze per il futuro. Con la consapevolezza di doversi preparare al domani sapendo che il percorso formativo, le passioni e ambizioni personali, potrebbero essere deluse»

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di Leonardo Pontalti

TRENTO. Solitudine, orizzonti poco chiari, strumenti tecnologici che da risorsa si trasformano in ostacolo. E una carenza strutturale di fondo della rete di supporto che peggiora l’intero quadro. L’acuirsi delle fragilità, soprattutto tra anziani e giovani e giovanissimi, con l’aumento delle condizioni di disagio e dei casi di suicidio ha tante ragioni, come spiega Roberta Bommassar, presidentessa dell’Ordine degli psicologi della provincia di Trento.

Dottoressa, è possibile schematizzarle, o riassumerle?

«Molto difficile. Se ne potrebbe parlare per ore e il rischio è quello di semplificare».

Inevitabilmente. Partiamo dagli anziani.

«Qui è più facile identificare le radici del malessere: la solitudine sempre più acuta, la consapevolezza - legata all’aumento dell’aspettativa di vita - di non poter vivere con pienezza, che crea frustrazione profonda».

Altra musica per i giovani e giovanissimi.

«La questione che li riguarda è molto più complessa. Senza dubbio il contesto sociale ed economico pesa».

Il lavoro?

«Non soltanto. Il mondo in generale, nel quale sanno benissimo di non poter avere certezze per il futuro. Con la consapevolezza - ben più profonda rispetto a quella di noi adulti - delle gravi problematiche ambientali che avvolgono il futuro in grandi incognite. Con la consapevolezza di doversi preparare al domani sapendo che il percorso formativo, le passioni e ambizioni personali, potrebbero essere deluse dal proprio futuro professionale, spesso lontanissimo da ciò per cui ci si era formati».

E i rapporti sociali? Tra loro, tra loro e gli adulti?

«Una sfera stravolta dall’impiego massiccio dei social. Dati ormai consolidati hanno stimato che se fino al 2010 un adolescente dedicava mediamente 25.000 ore all’anno, gli adolescenti di oggi sono fermi a 5.000 ore. Perché il resto è dedicato tendenzialmente alla vita online, che è nei giovani di oggi è spesso completamente staccata e divisa dalla vita offline. Se questo rischio è presente anche in noi “boomer”, è comunque limitato dal fatto che noi sapevamo come fosse una vita completamente offline, perché quella online è arrivata dopo. I ragazzi di oggi invece nascono e crescono, con una propria dimensione offline e una online e la differenza tra queste esperienze di vita - quella ante diffusione di rete e social e post diffusione - è sostanziale».

In questo quadro come si colloca il ruolo della famiglia, dei genitori?

«Oggi abbiamo genitori che sono attentissimi a ciò che fanno i figli ma allo stesso tempo incapaci di seguirli, soprattutto laddove ne avrebbero più bisogno come appunto la dimensione online. Credo che nessuna generazione, prima di quella degli adolescenti e dei bambini di oggi, sia mai stata tanto seguita. Bambini e ragazzi sono sempre al centro dell’attenzione. Con la tecnologia, anche qui, che ci mette lo zampino. E da opportunità rischia di trasformarsi in pericolo. Perché i ragazzi e i bambini di oggi sono ipercontrollati. Geolocalizzati nel tempo libero.

Controllati con i registri elettronici a scuola: io da ragazza ho fatto le mie esperienze di “marina”, ho poi studiato concludendo i miei percorsi in maniera brillante. Oggi marinare la scuola, una esperienza se vogliamo non positiva ma comunque a modo suo formativa, è impossibile. E cito questo esempio per rendere l’idea di come tutto questo ipercontrollo possa essere devastante. I ragazzi si sentono prigionieri. Del controllo, ma anche ad esempio del peso delle aspettative che le famiglie, soprattutto ora che i figli sono sempre meno, spesso uno per famiglia, ripongono su di loro. La definiscono, efficacemente, problema dei “genitori elicottero”. Che sorvegliano, controllano, pressano».

Un controllo che riguarda tutte le sfere della loro vita?

«No ed è parte del problema. Questo controllo, questo peso, così marcati nella vita reale, quella offline, vengono meno laddove invece l’accompagnare, il seguire, il controllare, sarebbero necessari: la dimensione online: «Ecco perché poi assistiamo ad eccessi e storture, come fenomeni di esibizionismo con implicazione anche della sfera sessuale. Perché là, nelle loro camere, davanti ai loro pc, tablet, smartphone, ragazze e ragazzi sanno di non essere controllati. Vengono lasciati soli e incappano così anche nei pericoli, che accanto alle tante opportunità, la rete può presentare».

Istituzioni, scuola, sanità, in questo contesto che ruolo hanno?

«Inutile girarci attorno, l’importanza del supporto psicologico, quando non anche neuropsichiatrico e psichiatrico, è sempre stata sottovalutata e oggetto di stigma. E ora che se ne sta scoprendo l’importanza, viviamo in un periodo in cui la spesa sanitaria subisce tagli in ogni settore ed è difficile garantire supporto efficace ed in tempi accettabili. Pensiamo anche solo alla scuola, non solo alla sanità: le figure degli psicologi negli istituti hanno poche ore a settimana a disposizione, tre, quattro. Quando invece servirebbero tre o quattro psicologi per istituto».

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