La prof arrivata dal Pakistan: «I miei figli devono poter studiare qui»
Shahzad Ahmed, docente di letteratura inglese, 43 anni dal Pakistan: «Ho 6 figli, mai mi sarei aspettata una situazione così. Abbiamo bisogno di protezione qui. Nessuno si sta rivolgendo a
noi, siamo stati abbandonati dalle istituzioni»
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TRENTO. «Vengo dal Pakistan e la mia famiglia si è divisa perché mio marito non ha accettato questa scelta: ho portato in Italia i miei sei figli che qui però non hanno ancora il diritto di studiare».
Ha la voce ferma e le idee chiare Saima Shahzad Ahmed (nella foto sotto), docente di letteratura inglese di 43 anni, arrivata in Trentino qualche tempo fa, lasciandosi i suoi affetti più cari e il suo paese d'origine alle spalle per cercare di dare un'opportunità a se stessa e ai suoi figli (il più grande di 18 anni). Su cosa l'abbia spinta a venire qui, lei non ha dubbi: «Un futuro migliore, ma mai mi sarei aspettata tutto questo».
E in effetti quella che lei e i suoi ragazzi stanno vivendo è una situazione costante di incertezza: «Siamo scappati dal nostro Paese ma qui abbiamo bisogno di protezione. Sono a Casa Paola da giorni, dopo non lo so dove andremo. A fine mese dobbiamo lasciare questo posto: ho già chiesto dove andrò, ma non ho avuto ancora delle risposte. Sono andata da Cinformi e mi sono rivolta alla Questura per il mio status».
Prima di arrivare nell'attuale struttura, in quella precedente, ad un certo punto «è stato necessario pagare ma non ero più in grado».
Il dolore più grande, che emerge dalle sue parole, è il senso di abbandono da parte delle istituzioni. «Nessuno si è rivolto a me o ha parlato con noi. Sono grata di avere un tetto sopra la testa, di avere cibo ma è solo una soluzione temporanea».
Il punto più importante e fondamentale, che la donna tiene a mettere in luce, è quello dell'educazione: «Mia figlia ha 16 anni, mio figlio invece 18: vorrei riuscire ad iscriverli alle superiori e all'università. Non c'è nessuno che ci sta aiutando e io non voglio distruggere il loro futuro, vorrei che riuscissero a proseguire negli studi senza avere problemi».I due ragazzi, presenti a fianco della madre ieri mattina, confermano quanto detto. «Al momento vengono aiutati soprattutto dai volontari». Diploma in tasca da tecnico informatico, il neo maggiorenne ha già visto che l'Università di Trento gli potrebbe offrire molto.
«Al momento però non abbiamo soluzioni, nonostante i documenti ci siano. Ma non abbiamo permessi per i miei figli e questo, oltre a meravigliarmi, per noi è un problema». L'auspicio è che questo incubo possa avere una fine.
«A maggio e nei mesi seguenti abbiamo accompagnato in Provincia svariati nuclei familiari di richiedenti protezione internazionale rimasti senza un tetto, di cui nessuna istituzione si era fatta carico - sostengono Sportello casa per tutti e l'Assemblea Antirazzista Trento- A seguito di queste azioni, le famiglie sono state collocate in strutture di bassa soglia, ovvero strutture utilizzate per i senza fissa dimora».
Non è la prima volta infatti che gli attivisti si presentano alle porte di Piazza Dante: «Crediamo che il modo più razionale di rispondere a queste esigenze sia la creazione di strutture per famiglie in emergenza abitativa siano esse richiedenti asilo o residenti perché il problema delle famiglie in condizioni di precarietà abitativa e di separazione riguarda una platea ampia di persone - concludono - Anziché pensare alla realizzazione di Centri di permanenza per i rimpatri la Provincia si concentri invece su un'accoglienza degna e la tutela dei diritti umani di tutti e tutte».