Quattro anni fa la scomparsa della giovane ginecologa Sara Pedri
Il 4 marzo 2021, all'alba, aveva spento il cellulare, poi la sua auto, una Volkswagen T-Roc, venne trovata in quella zona tristemente conosciuta per il "salto" nel vuoto nel lago di Santa Giustina. La drammatica vicenda innescò anche un caso giudiziario su presunti maltrattamenti e mobbing in ospedale, da poco concluso in primo grado con l'assoluzione con formula piena dell'ex primario Tateo e della sua vice Mereu, perché «il fatto non sussiste»
PODCAST «Questa volta non ce la farò»: la storia sospesa di Sara Pedri
SENTENZA Il fatto non sussiste, assoluzioni per Tateo e Mereu
SORELLA Emanuela Pedri: «Su Sara nessun passo indietro, non ci arrendiamo»
TRENTO - Quattro anni fa scompariva Sara Pedri, la giovane ginecologa di Forlì che lavorava in ospedale. Era il 4 marzo 2021 quando scomparve nel nulla. Quella mattina, all'alba, aveva spento il cellulare dopo aver fatto alcune ricerche nella rete: «Mostizzolo, ponte». E la sua auto, una Volkswagen T-Roc, venne trovata proprio in quella zona, tristemente conosciuta per il "salto" nel vuoto nel lago di Santa Giustina.
Quelle acque, perlustrate con attenzione dai vigili del fuoco volontari della zona e da squadre speciali con cani addestrati provenienti anche dalla Germania (cinque esemplari da ricerca cadaveri in acqua erano arrivati nell'ottobre scorso da Monaco) non hanno restituito ancora nulla di Sara, neppure un brandello di vestito che possa confermare definitivamente l'ipotesi di un gesto estremo.
Oggi a Forlì, in ricordo della ginocologa, si terrà una messa nella chiesa di Santa Maria Ausiliatrice della Cava, seguita da un momento di incontro al giardinetto intitolato a Sara Pedri.
La dottoressa aveva 31 anni quando scomparve. La sua carriera era appena iniziata, aveva davanti a sé una nuova vita sia lavorativa che personale. Destinata all'ospedale di Cles, dove era arrivata a metà novembre 2020 e dove aveva preso in affitto un appartamento, a causa della riorganizzazione dovuta all'emergenza Covid era stata subito spostata nel reparto di ginecologia del Santa Chiara di Trento. In poche settimane il suo sorriso si spense.
Sara Pedri iniziò a perdere peso ed entusiasmo. «Sono un morto che cammina» aveva scritto in uno degli ultimi messaggi alla famiglia. C'era malessere in corsia e Sara, sensibilissima, avvertiva un profondo disagio. Stava male in silenzio. La sofferenza si era poi manifestata nel deperimento fisico e psicologico. Aveva dato le dimissioni poco prima di scomparire nel nulla.
La vicenda drammatica di Sara Pedri innescò anche un capitolo giudiziario, che ha registrato l'esito di primo grado lo scorso 31 gennaio: l'ex primario dell'ospedale Santa Chiara di Trento, Saverio Tateo, e la sua vice, Liliana Mereu, sono stati assolti con formula piena dal gup del Tribunale di Trento, Marco Tamburrino, dalle accuse di maltrattamenti in concorso e in continuazione nei confronti del personale del reparto.
Secondo il giudice, che ha applicato l'articolo 530 comma due del codice di procedura penale, il fatto non sussiste.
Tateo aveva già denunciato l'Azienda Sanitaria che lo aveva licenziato, a suo dire ingiustamenbte, e aveva vinto la causa civile ottenendo un risarcimento di oltre 125 mila euro, e l'annullamento del licenziamento.
Il suo difensore, l'avvocato Salvatore Scuto, dopo la sentenza aveva denunciato, fra l'altro, «una gogna mediatica che ha accompagnato il professionista per tutto l'iter giudiziario, sulla base del nulla, senza avere una minima cura di attendere quantomeno la prima sentenza». L'avvocato Scuto aveva aggiunto: «Questa assoluzione ci rincuora, ci rasserena, ma sicuramente quello che ha passato il mio assistito sarà difficile che lui lo possa superare, soprattutto per questa esposizione mediatica veramente feroce di cui è stato vittima».
Per parte sua, dopo la sentenza, Emanuela Pedri, sorella della ginecologa, ha affidato uno sfogo alla pagina Facebook “Verità per Sara Pedri”, nel quale scrive, fra l'altro: «I protagonisti di questa brutta storia sono tanti, non si tratta solo di Sara, potrebbe sembrare così perché il suo nome ha fatto il giro d’Italia entrando nei cuori di tante famiglie che l'hanno conosciuta attraverso di noi, affezionandosi sempre di più a lei, ma è anche la storia di altre famiglie, perché anche se di loro non si parla, ci sono 20 dottoresse parti offese che per quasi 4 anni hanno raccontato alla Procura di aver subito mobbing anche negli anni prima dell'arrivo di Sara, nello stesso reparto di ginecologia e ostetricia all'ospedale Santa Chiara di Trento».