Teo Teocoli sarà a Trento sabato 28 febbraio
Teo Teocoli è considerato uno degli ultimi veri mattatori dello spettacolo in salsa tricolore. Una vis comica, la sua, forgiata nel tempio del cabaret meneghino, il Derby, capace di conquistare in oltre cinquant'anni di attività il grande pubblico fra teatro e televisione. Sabato 28 febbraio Teocoli porterà all' Auditorium di Trento (oltre 600 biglietti già staccati) il suo nuovo show Restyling. Faccio tutto che, come ci racconta lui in questa intervista si articola tra cabaret e canzone attraverso una serie di personaggi e monologhi.
Teo Teocoli, che cosa raccoglie questo show?
«Mi piace definirlo come uno spettacolo di intrattenimento. Non ha mai una scaletta fissa e si basa molto sull'improvvisazione, sull'ispirazione del momento legata anche alle reazioni del pubblico e al mio stato d'animo. In questo show racconto i fatti straordinari della mia vita come, ad esempio gli incontri con Salvador Dalí e Brigitte Bardot per fare dei nomi».
Grandi incontri nel mondo dello spettacolo.
«Nel mio racconto parto da lontano, dalla mia passione per la musica con un gruppo che sarebbe diventato poi la Premiata Forneria Marconi , ma io - sorride Teocoli - me ne ero già andato sbagliando i tempi, clamorosamente e come al solito».
Qual era il suo mito da ragazzino allora?
« Adriano Celentano in assoluto. Mi avevano detto che gli assomigliavo e quindi mi specchiavo in lui. Quando Adriano era militare io lo aspettavo sotto casa; aveva, se la memoria non mi inganna, ventun anni e io quattordici».
Il pubblico si aspetta di trovare le sue maschere più celebri.
«Senza promettere di accontentare tutti posso anticipare che ci sarà una carrellata di imitazioni partendo dall'eterno Ray Charles e Stevie Wonder e José Feliciano: tutti e tre piuttosto isterici nel mio immaginario. E molti altri».
Nello spettacolo c'è anche la musica: sotto quali forme?
«Anche in questo tour ho voluto al mio fianco la band dei Doctor Beat che mi accompagna ormai da dieci anni. Sono bravissimi strumentisti in primis e soprattutto riescono ancora a ridere per davvero di certe mie battute. C'è feeling insomma e mi piace l'idea di avere sei musicisti con me sul palco e loro riescono magnificamente a stare dietro a certe mie variazioni impensabili durante lo show».
Se fosse costretto a scegliere a quale suo personaggio non rinuncerebbe mai e perché?
«Direi il giornalista sportivo napoletano Felice Caccamo nato a Paperissima nel 1990 e poi diventato un must di Mai dire Gol. La sua giacca azzurra e i suoi occhialoni tremendissimi lo hanno fatto diventare anche per me qualcosa di unico. Anche Caccamo nasce dalla vita vissuta, dall'esperienza di due anni vissuti a Napoli con zii e parenti. Ero un ragazzo e l'ho vissuta molto bene e poi appunto - se la ride - come le dicevo la somiglianza con Celentano mi dava diverse carte da giocarmi con le ragazze».
Fra le sue imitazioni anche quella di Adriano Galliani ad del Milan: ma cosa succede al povero diavolo, di chi è la colpa di questo sfacelo della nostra squadra del cuore?
«Il Milan di oggi è un incubo a partire dalle scelte sbagliate della società. Il peccato originale è stata la cessione di Ibrahimovic e Thiago Silva, entrambe dissennate, senza dir nulla di Pirlo. Chiaro che i fuoriclasse costano, però ti fanno vincere gli scudetti e ti danno un grande indotto nel marketing. Con i parametri zero degli ultimi anni siamo finiti nel baratro e l'unica speranza è che Paperon de Berlusconi se non vuole più mettere i denari prenda un socio. Il presente è fatto di giocatori come Muntari che ogni due azioni ammazza un terzino!».
La sua vis comica si è forgiata in un tempio del cabaret come il Derby di Milano: che anni erano e come vede il cabaret di oggi sempre più legato alla televisione?
«La tv ha cambiato completamente, in peggio secondo me, la percezione del cabaret visto molto spesso come monologo mordi e fuggi. Il mio cabaret è quello appunto del Derby dove si trovavano musicisti eccellenti come Gino Paoli , Fred Buongusto e Bruno Lauzi , Bindi che si intrecciavano con i ragazzi come me che volevano e provavano a far ridere. Ricordo Enzo Jannacci che fece diversi spettacoli fra cui "La tappezzeria" al quale ebbi la fortuna di partecipare insieme ad Abatantuono, Porcaro, Boldi, Faletti. Era una fucina di creatività e di scambio di idee ed era difficilissimo emergere visto il livello».
Le manca il piccolo schermo, intendo un programma tutto suo?
«Confesso che negli ultimi anni non mi hanno mai proposto nulla di interessante perché c'è poco spazio per la mia idea di varietà e di intrattenimento».
Però è finito in uno dei programmi per me imprescindibili della trash tv tricolore come «Ballando con le stelle»: pentito?
«Non me ne parli. Mi sento ancora un cretino per esserci andato. Per i misteri della vita mi ero messo in testa di poter ballare quattro ore al giorno per quindici giorni consecutivi. Pensavo che oltre questo ci fosse altro, che venissi "usato" anche per la mia vis comica. Errore clamoroso e la mia schiena ancora fa male».