Snowden: anche in Italia la sorveglianza di massa limita la libertà
Quando il suo volto appare sul maxischermo della Sala dei Notari a Perugia, gremita come non mai, si leva un lungo applauso, e lui risponde con un sorriso, ben accennato, per ringraziare. Edward Snowden è in collegamento via Skype dal luogo segreto di Mosca dove si è rifugiato per evitare di finire in manette negli Usa per l'accusa di spionaggio dopo aver rilevato i sistemi di sorveglianza di massa utilizzati dall'intelligence americana. Fa capire subito perché ha accettato l'invito del Festival di Giornalismo di Perugia.
«Il giornalismo - sostiene - è una delle armi più efficaci che abbiamo, forse l'unica. I governi non si riformeranno da soli, il potere non funziona così».
Non solo denuncia, dunque, dall'ex tecnico della Cia, ma anche un appello ai tanti giovani presenti al Festival: «Dobbiamo capire come rendere sicura la rete e aumentare il livello della libertà. L'unico modo per farlo è con il dialogo. Dobbiamo pretendere risposte dai potenti».
Dai governi nazionali in primo luogo, anche da quello italiano, che - come ricorda il moderatore dell'incontro, Fabio Chiusi - è rimasto in silenzio di fronte alle denunce della talpa del Datagate.
«Non è un segreto che l'intelligence italiana e americana lavorino a stretto contatto. Il rapporto è solido e segreto», afferma Snowden, citando il caso Abu Omar e i suoi viaggi a Milano, quando era alle dipendenze della Cia a Ginevra. «Magari i premier non conoscono i dettagli perché non vogliono saperli - aggiungere -, ma devono rispondere alle domande, perché la gente si chiede perché non rispondono».
Per l'ex collaboratore dei servizi americani, lo scenario è sempre più preoccupante, anche alla luce dei tentativi dei governi di obbligare le aziende a fornire le chiavi per decriptare i linguaggi utilizzati per le comunicazioni via Internet.
«I politici credono che tutto sia lecito per garantire la sicurezza, ma la sorveglianza di massa è inefficace contro il terrorismo - sostiene -. In Francia questi sistemi sono stati legalizzati prima che avvenisse l'attacco a Charlie Hebdo, ma questo questo non ha impedito la strage. Lo stesso è avvenuto in Canada e Usa. Essere perfettamente al sicuro non vale a nulla, se non siamo liberi».
«È il più grande sistema di oppressione dell'umanità - avverte -, ed esiste in più parti del mondo. Basta un capo di governo mal intenzionato e noi accenderemo questo sistema e non si potrà più tornare indietro. Dobbiamo agire subito, altrimenti potrebbe diventare sempre più difficile».
All'incontro, oltre all'avvocato di Snowden, Ben Wizner, è intervenuta, anche lei via Skype, Laura Poitras, regista di Citizenfour, il documentario che testimonia il passaggio delle informazioni in possesso di Snowden alla stampa, vincitore dell'Oscar 2015, uscito ieri in Italia.
«Dall'uscita del documentario la mia vita è cambiata - racconta -, ci è stato consigliato di evitare di viaggiare in Usa, ho dovuto vivere a Berlino e sono stata fermata più volte alla frontiera americana. Però quello che abbiamo pubblicato ci ha dato in qualche modo protezione. Spero con il mio lavoro di diffondere la consapevolezza della minaccia nei confronti della democrazia rappresentata dai sistemi di sorveglianza. Presto pubblicheremo altro materiale di Hong Kong (dove Snowden è stato prima di rifugiarsi in Russia, ndr). Noi registi dobbiamo saper concentrare tutto in pochi minuti, ma c'è ancora tanto materiale che merita di essere pubblicato».
Michele Cassano (Ansa)