«Le luci della centrale elettrica» illuminano Sanbapolis
Con le sue canzoni «terrestri» Vasco Brondi, in arte Le luci della centrale elettrica, si appresta a sbarcare, giovedì alle 21, al Teatro di Sanbàpolis.
Il musicista di Ferrara presenterà le canzoni del cd Terra uscito il 3 marzo scorso ed entrato direttamente al quarto posto nella classifica dei dischi più venduti. In questo live set Vasco Brondi sarà accompagnato da una band di quattro elementi con una scaletta che accanto al presente vedrà anche brani dai suoi lavori precedenti.
Vasco, ho trovato questo tuo album particolarmente ispirato, «pieno» di cose.
Quando ho incominciato a pensare a questo disco me lo sono immaginato come se fosse una cartolina da spedire nello spazio. Come se dovessi presentare me stesso e il posto dove vivo agli alieni, a qualcuno che non sa niente di me. Quindi ho pensato che ad accompagnare questa cartolina ci volesse una sorta di colonna sonora del nostro tempo, della nostra identità e anche della società italiana di oggi.
Infatti lo hai definito in diverse occasioni un disco «etnico».
Sì ma di un’etnia immaginaria, nuova, in fase di definizione. Non è un lavoro di world music, sia chiaro, anche se abbiamo usato i tamburi africani, i suoni balcanici, quelli mediterranei. Lo abbiamo fatto infatti in una maniera che definirei come filologicamente sbagliata creando una sorta di folk da terzo millennio. Suoni che si intrecciano con testi che spaziano dalla vita nelle città ad una dimensione più intima. È un cd pieno di cortocircuiti dove eventi epocali si mischiano ad eventi personali.
Per delinare tutto questo hai scelto un titolo impegnativo come Terra: come mai?
Mi piace molto questa parola di cinque lettere che in realtà è la più grande che c’è. Terra ha tanti significati: può essere il nostro pianeta, può essere un elemento della natura ma anche il luogo dove viviamo e siamo nati, ma anche il grido dei naviganti all’orizzonte. Sulla terra c’è tutto il bene e il male del mondo, c’è un essere umano che è capace di costruire armi di distruzione di massa, ma anche cose bellissime.
Quei naviganti, spesso disperati, che canti in un brano come «Waltz degli scafisti».
È un ballo dedicato agli spostamenti umani che ci sono sempre stati da che uomo è uomo. Racconta di persone che non sono solo vittime, ma anche piene di vitalità e di coraggio partendo da qualsiasi punto di partenza o di approdo. In questo brano si parla anche di città italiane in Argentina o di città indiane in Australia».
Un pezzo che mi ha colpito è «Nel profondo Veneto».
Si tratta della storia di una ragazza che torna a casa “sconfitta” dopo un’esperienza a Milano. Ma nel ritrovare appunto la sua terra ritorna a vivere. In qualche modo nel crollo delle sue illusioni e dalla fine di una corsa frenetica ritrova la felicità. Quello che per molti potrebbe essere un passo indietro per lei è un nuovo inizio.
«Interconessi» si può leggere come una critica ai social?
Non si può definire così perché è difficile chiamarsi fuori da questo mondo virtuale in cui sono immerso anch’io. DIrei che si tratta di una riflessione su come affrontare in maniera più consapevole questa era digitale.
Che live si deve aspettare il pubblico di Trento?
Sarà un live molto diretto proposto da una line up che è quella classica del rock ma nello stesso tempo abbiamo studiato il set per suonare tutto tranne che rock. Ci muoviamo in altre dimensioni ed ambienti usando gli strumenti occidentali per creare anche musica di altri continenti.