«Noi nudi primitivi senza difese» Emma Dante su «Bestie di scena»
Uno spettacolo quasi del tutto privo di parole, ma scosso da suoni e rumori, e caratterizzato dalla nudità degli attori che, è innegabile, può creare un rapporto imbarazzante con lo sguardo dello spettatore. Viene presentato così Bestie di scena l’ultima opera di Emma Dante in scena mercoledì 28 marzo, alle 21, al Teatro Sociale per la rassegna Altre Tendenze. «Bestie di scena» è l’ultimo tassello dell’attrice, regista e drammaturga siciliana, realizzato dopo il sucecsso ottenuto anche con Odissea a/r.
Emma Dante, da quali presupposti nasce «Bestie di scena» e come ha preso forma nella sua concretizzazione reale?
È uno spettacolo che è stato in gestazione per tanto tempo. È nato come un lavoro che metteva in luce certi meccanismi scenici dell’attore dentro l’ingranaggio del teatro. Ha preso forma così ma quando siamo andati avanti è diventato uno spettacolo che parla non degli attori ma di una piccola comunità di primitivi all’inizio di tutto. Primitivi che si trovano su questo palcoscenico come se fossero stati scaraventati qui su da un altrove e si trovano a fare i conti con le peripezie di questo palcoscenico. Viene a crearsi così una specie d’intreccio tra l’attore che si ritrova a dover esibire tutto il suo talento, e dall’altra parte, invece l’essere umano che sta lì nudo senza difese, che deve fare i conti con la vita con il mondo.
Ma chi sono le «bestie in scena»?
All’inizio di questo progetto volevo lavorare sull’animalità sul fatto che per fare teatro bisogna liberarsi da ogni pudore e da ogni vergogna e quindi ritrovare una bestialità che c’è dentro di noi, una bestialità che permette all’attore di liberarsi da qualsiasi pregiudizio, per cui come l’animale che non ha vergogna, anche l’attore per fare bene il suo lavoro deve perdere ogni pudore. Quindi l’idea del titolo era partita da questo concetto dopodiché mi sembrava molto più bello “bestie di scena” per raccontare anche l’animalità di noi esseri umani senza la maschera sociale, noi senza le sovrastrutture, noi animali che siamo sempre in scena nella vita di tutti giorni.
In un commento critico sul suo spettacolo si sottolinea come per lei, in questo caso, gli attori siano solo dei burattini.
Io non credo che i mie attori siano dei burattini, i miei attori sono degli autori e anche degli esseri pensanti che stanno in scena con la consapevolezza di stare in scena, sanno esattamente quello che stanno facendo, sono esattamente il messaggio che stanno lanciando, non sono pedine nelle mie mani, non sono tirati dai fili, sono piuttosto degli autori-attori.
Fino a che punto, oggi nel 2018, la nudità dei corpi degli attori può essere disturbante?
Credo che la nudità disturbi ancora tanto. Non mi aspettavo proprio la reazione di molti verso il mio spettacolo. Oggi ne vediamo di cotte e di crude ma soprattutto siamo esposti a cose molto più violente di un nudo. In scena c’è un nudo che non ha niente di pornografico perché esso è uno stato di fatto, noi nasciamo e moriamo così, non c’è niente di scandaloso nell’essere quello che siamo. È chiaro poi che se uno il nudo lo strumentalizza allora diventa pornografia, diventa volgarità.
Non è questo il caso.
No, questo spettacolo non ha niente di pornografico, non ha niente di ammiccante, vedere questo nudo è come vedere un animale. Un animale non si veste però nei suoi confronti non abbiamo nessun tipo di problema e noi siamo anche questo in fondo. Io non mi aspettavo che potessero esserci queste polemiche perché dopo cinque minuti di “Bestie in scena” ci si dimentica che queste persone sono nude, ce ne dimentichiamo perché non c’è nessuna forzatura in quel senso, perché lo spettacolo vuole parlare di altro, va ben oltre la nudità.