Piero Calamandrei a Trento, in un libro le foto della Grande Guerra
«Mi raccomando che le pellicole di queste e delle altre fotografie che in seguito farò, tu le conservi, che ne farò, al mio ritorno, una raccolta di guerra memorabile».
Con queste parole Piero Calamandrei si rivolgeva alla moglie Ada. In pochi conoscono la vocazione di fotografo di guerra del grande giurista e padre costituente. Un corposo volume di oltre 320 pagine, pubblicato dalla Fondazione museo storico del Trentino, dà conto di questo forte passaggio biografico di Calamandrei che si intreccia con la grande storia della Prima guerra mondiale, della quale in questi giorni si è ricordato il centenario dalla conclusione.
Il volume, intitolato «Contrasti. La Grande Guerra nel racconto fotografico di Piero Calamandrei» (che grazie a l’Adige è possibile acquistare al Museo storico con il coupon del giornale al prezzo scontato di 35 euro, anziché 55) è stato presentato il 3 novembre in Sala Falconetto, a Palazzo Geremia, alla presenza del sindaco Alessandro Andreatta, del Commissario del Governo Pasquale Gioffré, del presidente della Fondazione Giorgio Postal, di Silvia Calamandrei, nipote di Pietro (era suo nonno) e della ricercatrice autrice del lavoro.
Si tratta di Silvia Bertolotti, vicentina di Schio, laureata in Lettere a Trento, con dottorato di ricerca sempre a Trento. Una borsa di studio finanziata dalla Fondazione Caritro le ha permesso questa ricerca: «Ho lavorato nell’archivio della Fondazione museo storico di Trento, in quello dell’Istituto storico toscano della Resistenza di Firenze, nell’archivio Calamandrei a Montepulciano e nell’archivio privato della famiglia».
Nel volume ci sono oltre quattrocento foto scattate da Calamandrei durante la sua esperienza di guerra, come tenente e poi capitano: soldati in marcia, vita da trincea, paesaggi, montagne e linee nemiche, chiesette, foto di gruppo di soldati e ufficiali, scene di civili e militari nei paesi vicini al fronte.
Allo scoppio delle guerra Calamandrei aveva ventisei anni ed era già professore universitario di procedura civile. Nell’agosto del 1915 si arruolò come volontario nella terza compagnia del 176° battaglione della Milizia territoriale. I luoghi di guerra da lui frequentati furono l’Alto Vicentino, la zona del Pasubio, la Vallarsa con Pian delle Fugazze, Matassone, lo Zugna, Posina, Marano Vicentino, Verona, la Vallagarina. Questo libro di parole e immagini, scritto da un giurista e uomo di pensiero, antifascista e di profonda fede democratica, è una sorta di diario visivo. «Ho consegnato a Silvia Bertolotti la scatola di cartone Kodak originale in cui mio nonno custodiva numerose foto della prima guerra mondiale - ha ricordato la nipote Silvia - e il primo lavoro è stato ricostruire e individuare i luoghi esatti in cui furono scattate».
Le testimonianze fotografiche ed epistolari di Calamadrei si accordano. Nel luglio del 1916 annotava dal Monte Novegno, che sovrasta Schio: «Dicono che la guerra rende, fisicamente e moralmente, più maschiamente rudi e insensibili: io trovo in me, invece, almeno per quello che riguarda il morale, che ogni giorno che passa di questa vita assurda l’anima mia diventa sempre più scoperta». In altre lettere ricorda le notti in Vallarsa: gelide, sotto bufere di neve che non passavano mai come il buio della notte. Notti in cui Calamandrei leggeva, scriveva, prendeva appunti, cercava di mettersi in sintonia con un universo che diceva parole di guerra quando i suoi compagni in trincea non invocavano che la pace.
La strada sul Leno gli sembrava come quella dei gironi infernali di Dante.
Ma il primo novembre scrisse alla moglie: «Quando avrai questa lettera, i giornali vi avranno portato la notizia che l’Austria si è inginocchiata davanti ai nostri morti».
Su 31 foglietti allegati alle lettere scritte dal 4 novembre Calamandrei, primo ufficiale superiore ad entrare nella Trento liberata, racconta l’ingresso trionfale a Trento sulla moto Indian, il bagno di folla «mi sembrava di galleggiare sulla gente», l’omaggio alla statua di Dante, il trionfo in municipio della piccola avanguardia di quattro ufficiali italiani giunti a Trento per primi. E poi subito la preoccupazione per infondere sicurezza nei trentini, liberare i prigionieri, assistere i malati e feriti senza cure, sfamare chi, anche se la guerra era finita, non aveva da mangiare.