L'America più profonda riletta da Clint Eastwood
È un caso che, con pochissima distanza, nelle sale due vecchie leggende del cinema americano si trovino entrambi ad incarnare degli anziani malviventi. Eppure forse questa è l’unica analogia fra le due pellicole e i due interpreti.
Da un lato, il bel compagno Robert Redford (in «Old man and the gun»), icona delle sinistre, dall’altro il duro Clint Eastwood, conservatore e patriota o forse anarchico di destra, potremmo dire. Il film in questione è «Il corriere – The mule», ultima fatica del regista del 1930, che lo vede questa volta anche davanti alla macchina da presa, dieci anni dopo «Gran Torino».
Va detto subito che «Il corriere» non raggiunge affatto le vette di «Gran Torino» e presenta diverse imperfezioni narrative. Tuttavia, si rivela interessante per vari motivi, dal piacere di rivedere Clint sul grande schermo, alla lettura sociale irriverente che dà dell’America, questa volta passando dal lato del crimine.
Nemico giurato del politically correct, il protagonista della pellicola di Eastwood scambia lesbiche per uomini, chiama gli afroamericani «negri», ma si ferma ad aiutarli quando hanno forato, si fa beffe dei messicani, ma non ha problemi ad accettare un lavoro come corriere della droga.
L’americano di Eastwood, quello degli sceriffi del Far West, oggi si sente sconfitto in casa propria, schiacciato dalle varie diversità (etniche e culturali), da uomini a cui i padri non hanno insegnato a cambiare una ruota, da una crisi economica che costringe un novantenne a chiudere la propria attività e lo porta al crimine.
È la vecchia America conservatrice e orgogliosa, di cui Clint ammette qua e là i difetti (vedi quando la polizia ferma uno, solo perché ha la faccia da messicano), ma di cui al tempo stesso eleva un manifesto, auspicando che essa possa ritrovarsi attorno ai valori tradizionali ed etici della famiglia, come il suo protagonista. Make America great again.