Tutte le «bufale» su Mussolini parla lo storico trentino Filippi che le smonta in un best-seller
Mussolini ha fatto cose buone per l’Italia e gli italiani? Una enorme bugia. Una di quelle idiozie che vengono spacciate e ripetute come verità: “il fascismo costò milioni di morti, ma la colpa era di Hitler”. “Certo ci furono le leggi razziali, ma erano i nazisti a volerle”.
“Barzellette” cresciute nei decenni: sul fascismo che ha dato le pensioni agli italiani, il fascismo che faceva arrivare i treni puntuali, che ha bonificato le paludi. Bugie che gli storici professionisti hanno demolito da tempo, ma che resistono nella vulgata e sono funzionali a una narrazione riabilitante del regime fascista. Stanco di queste litanie, uno storico professionista ha deciso di dire basta. E così Francesco Filippi (storico trentino, di Levico) ha pubblicato il mese scorso «Mussolini ha fatto anche cose buone». Titolo che potrebbe ingannare a sua volta, ma con un sottotitolo chiaro: «Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo». Agile libro edito da Bollati Boringhieri, 132 pagine, 12 euro, con prefazione di Carlo Greppi, che ha voluto che Filippi scrivesse questo testo.
Filippi, trentino originario di Levico, è uno storico, di 38 anni che lucidamente ha costruito un manuale con riferimenti precisi, indagando sulle fonti legislative e smontando le «idiozie» circolanti sul regime fascista. Il libro era nato come dispensa per gli studenti dei viaggi della memoria con l’associazione Diena di cui Filippi è presidente.
Filippi, il suo libro è tra i primi posti in classifica: significa che c’era bisogno? Se l’aspettava?
No. Non me l’aspettavo. Non è falsa modestia. Il libro nasce come un manuale ad uso interno, poi Bollati Boringhieri ha creduto nel progetto. Nasce dall’idea di combattere le bufale e di aiutare i ragazzi a capire. Prendo atto che un manuale di questo tipo sia necessario. Personalmente la cosa mi fa piacere, ma c’è da rifletterci.
In realtà gli storici hanno sempre sostenuto queste cose, eppure queste bufale sono circolate comunque.
In ambito accademico le storie che girano su Mussolini e i suoi accoliti sono sbugiardate da decenni e nessuno storico serio ne dubita. C’è però uno scollamento tra la ricerca e la divulgazione.
Qual è stato l’approccio metodologico?
Sono partito dalle fonti legislative. Demolisco queste bugie dalle carte giuridiche e da lì inserisco la critica storiografica. In realtà è metodologia storiografica. Roba da manuale. Ma in un periodo in cui la velocità in tutti campi del sapere è aumentata, non si deve perdere di vista lo studio e la ricerca che devono essere costruite per il bene della società, anche se non voglio fare il messianico. La storia è un bene strumentale dell’uomo. La propaganda pro regime usò anche Renzo De Felice, come lo storico che avrebbe visto il fascismo sotto la giusta luce. Ci riferiamo alla teoria del consenso di cui godeva il regime.
La lezione di De Felice, che è ancora il pilastro dello studio storico riguardante il fascismo, è stata fraintesa. Lui ha cominciato a studiare il fascismo quando non lo si studiava perché lo si condannava. Ma dal punto di vista storico è innegabile il suo contributo, dato in maniera seria, pulita. È una pietra miliare. Così come Pavone sulla Resistenza e la guerra civile, un altro che fece cadere un tabù. Sono fondamentali per capire. De Felice è stato strumentalizzato dalla destra. Ma la realtà storica del regime è molto più triste di quanto la vulgata voglia fare credere.
C’è stato però il consenso.
Nel rapporto ondivago con le masse, l’innamoramente c’è. Nella guerra civile spagnola “italiano” è sinonimo di fascismo. Del resto i pochi cinegiornali erano pura propaganda, i giornali erano tutti asserviti. Non dimentichiamoci che la più grande propaganda è fatta dal ciarpame fascista a favore del regime stesso.
Eppure qualche crepa c’era. Lo dimostrano anche studi pioneristici come quello di Luisa Passerini su Torino operaia e il fascismo.
Certo. Quando si parla di consenso non si deve pensare a un’adesione al 100 per cento, ma a una maggioranza silenziosa che viene trascinata dagli eventi. Del resto a ogni elezione il fascismo non riuscì a sfondare. Il regime andò in frantumi non appena la storia chiese a Mussolini di vedere il bluff.
Una delle bufale è: “quando c’era lui i treni passavano in orario”.
Esatto. Del resto ogni notizia in senso contrario fu cancellata. Nel mio libro in ogni capitolo parto parlando del pre fascismo. In molte cose, come il welfare, c’è una operatività già con i regimi liberali e poi con il periodo repubblicano. La crisi post bellica è una crisi del modello liberale, ma ogni Paese dà una risposta diversa. In Italia la risposta è il fascismo. Ma se andiamo a vedere le fonti legislative il fascismo non fece quello che si vuole fare credere.
C’è anche la bufala della legalità.
Già. Sappiamo invece che dilagava la corruzione a tutti i livelli.
Perché rispondere a queste bufale?
Prima di tutto la storia è un bacino da cui peschiamo fatti per costruire una nostra memoria, è un archivio di “file” con cui costruiamo il nostro presente. Se i “file” sono fallati, questi condizionano anche il presente. Il contesto storico ci insegna che la storia non si ripete mai, ma come diceva Mark Twain fa le rime... In un contesto di paura, di smarrimento, di crisi ci sono determinati gruppi umani che agiscono. Siamo una società a più dimensioni e dire che il passato non conta significa perdere una esperienza comune. Una corretta interpretazione è un fenomeno arricchente per chiunque viva nel tempo. Per citare Bloch, la storia è la scienza dell’uomo nel tempo e negare che influisca, significa negare una delle dimensioni fondamentali dell’uomo. Vivere nell’eterno presente è pericoloso.
Ma perché sopravvive questa narrazione sul Duce e il fascismo?
Perché il fascismo è un ottimo propagandatore di se stesso. Seppe fare sognare questo Paese con questa narrativa fasulla, mentre il regime repubblicano non seppe narrare se stesso. Ancora oggi a 70 anni di distanza, ahimé, uno dei grandi racconti è ancora nelle mani di chi costruisce queste realtà virtuali. In questo momento le nostre comunità non hanno la forza di costruire un racconto positivo, sembra che all’orizzonte questo Paese non abbia prospettive. Per fortuna abbiamo ragazzi che hanno riempito le strade con le proteste sull’ambiente, ragazzi che chiedono la difesa del proprio futuro. È la prima generazione che sa che la vita sarà peggiore di quella dei propri genitori. Prima tutti sognavano un futuro migliore, oggi i nostri ragazzi non lo possono sognare. Così qualcuno si aggrappa a un passato migliore. Ma questi ragazzi hanno una fame di bellezza. Io sono della generazione di Genova 2001, che fu cacciata dalle piazze e vedere ora questi sedicenni riprendersi le piazze, mi ha riempito il cuore. Sono contento anche delle critiche che gli vengono mosse, perché, citando Gandhi, “prima ti deridono, poi ti combattono, poi vinci”.
Che cosa pensa di Salvini che rifiuta giudizi sul fascismo e usa una narrazione simile al Duce: Salvini carabiniere, Salvini pompiere, Salvini poliziotto?
Non mi fermerei a un politico solo. Il clima politico si è spostato su slogan. Dire che si vota l’uomo e non il partito è una costruzione di questi tempi. Ora si cerca il tema del giorno, poi alle otto di sera è già vecchio. Salvini è solo più bravo di altri ad applicare questo sistema di comunicazione veloce.
Giusto festeggiare il 25 aprile?
Sì, perché è la festa più bella che c’è: è la festa della libertà, la libertà di stare insieme.
È diventata una festa divisiva...
Sì, giustamente, perché mette dei paletti tra ciò che può essere accettato e ciò che non può esserlo. È il paradosso di Karl Popper: la democrazia non può essere così democratica da accettare idee antidemocratiche. È una bella festa perché ha dato la possibilità a tutti di dissentire. anche su se stessa.