Il lupo che è dentro di noi nell'opera di Eisler
La notte è squarciata improvvisamente da decine e decine di fuochi. Le fiamme si alzano sfiorando le nuvole, illuminando a giorno prati e boschi. Attorno a questi falò le persone lo sguardo delle persone perfora le tenebre. Non stiamo assistendo a qualche rito magico sulle montagne del Sudtirolo e non siamo neppure nella notte del Sacro Cuore, quando le lingue di fuoco ricordano il voto dei tirolesi storici a Gesù. È invece la protesta degli agricoltori contro la presenza nella nostra regione dei tanto famigerati lupi. In Trentino le proteste percorrono invece i corridoi della politica. Eppure c’era un tempo in cui, parafrasando il titolo di un famoso film, l’uomo ballava con i lupi. Anzi, l’uomo era un lupo.
Senza scomodare il marchese De Sade e la sua celebre frase «Passo per il lupo mannaro. Ma perché dolersene? Si vuole sempre manifestare il sentimento che si ispira», basti ricordare Euripide e le sue dionisiache Baccanti, donne furiose che corrono sui monti finché, «alla fine della corsa bacchica si cade per terra, con la pelle sacra del cerbiatto, con la sete del sangue del caprone, con la fame della carne viva …».
D’altronde non serve evocare la psicoanalisi per sapere che c’era un tempo in cui ogni famiglia aveva il proprio animale totemico, in cui ci si fondeva per trasmutarsi, per subire una metamorfosi finché l’Io diventava l’animale stesso. Il regno animale dentro di noi, il lupo dei cimbri e delle popolazioni nordiche interiorizzato nell’anima umana, come tracce filogenetiche, come antenato totemico, come meccanismo di sfogo innato; animali che – lupo compreso – hanno condizionato il nostro fisico e la nostra psiche, costringendoci ad inchinarci di fronte alla loro presenza e al loro potere.
Purtroppo oggi nelle scuole la storia sembra caduta in disgrazia eppure, maestra di vita, ci insegna che un tempo i “luperci”, i giovani romani, rincorrevano le donne fustigandole con corregge di cuoio durante le feste dei “lupercalia” che ricordano la lupa che nutrì Romolo e Remo, divinizzata con il nome di “Luperca dea” e alla quale venivano tributati onori divini. Si tratta di antichi riti che affondavano le loro radici nei riti dionisiaci di cui alcuni affreschi pompeiani raffigurano le scene introducendoci nel mondo dei satiri. Per non dimenticare Fenris, il gigantesco lupo della mitologia norrena, antenato delle bande di guerrieri-lupo abbigliati con pelli di lupo riproposti recentemente nel serial televisivo “Vikings” e che i romani incontrarono nelle selvose distese galliche. Uomini-lupo, sciamani; vestiti di pelli animali – indossavano anche pelli di orso, cinghiale, cane –, terrorizzavano gli avversari.
Talmente forte era l’immedesimazione che non è del tutto sbagliato parlare di licantropia. Ed è proprio in questo mondo animale-uomo-animale, un tempo fuso con l’animo umano e oggi allontanato con paura, ignoranza e pregiudizi, che Robert Eisler (1882-1949), incredibile uomo erudito, ci conduce con il suo libro
Uomo diventa lupo, pubblicato per la prima volta nel 1951 e ora da Adelphi nella collana «I peradam» (408 pagine, 26 euro). Il sottotitolo è: «Saggio sul sadismo, il masochismo e la licantropia». È un libro di cui abbiamo scordato l’esistenza, con poche righe di testo e decine e decine di pagine di note che ci rimandano ad altri mondi; ci dischiude universi antropologici altrimenti dimenticati, ci rimanda nel mondo dell’uomo lupo, del serial killer, del sadico, del violento e rievoca anche l’esito della fatale Caduta della specie umana, di un homo sapiens bandito dal paradiso terrestre e relegato in una natura del cui sangue si lorda e delle cui carni si ciba. Il libro è di quelli che ti fanno riscoprire ciò che è in te, narrando non tanto un peccato o una trasgressione ma una vera e propria mutazione genetica umana: il corpo, l’anatomia, il pelo, la dentatura, e poi le usanze, gli abiti, le culture, i linguaggi, la fine di uno stato di innocenza e l’assunzione di un condotta predatoria. Quanti termini afferenti all’area semantica del lupo sono entrati nel circuito economico, politico e sociale.
Ecco, Robert Eisler, con Boezio, dichiara che «l’animale viene prima dell’uomo», anche perché quell’animale, quel lupo, è dentro di noi. Un libro che ci fa compiere uno dei viaggi più inquietanti nei recessi di quella che ancora oggi ci ostiniamo a chiamare “natura umana”.