I cent'anni di Arturo Benedetti Michelangeli
Arturo Benedetti Michelangeli è tuttora un mistero, musicale e umano, un buco nero ancora da illuminare nella sua completezza, perché il grande maestro non ha mai lasciato che si facesse completamente luce sulla sua figura.
Nato a Brescia cento anni fa, domani si festeggia il suo centenario. La sua città ha già preparato momenti, incontri e soprattutto concerti pianistici per ricordarlo. Trento lo farà con un concerto del Coro della Sat e dell’Orchestra Haydn sabato 11 gennaio (vedi sotto). Ed è proprio il legame con il Trentino, con la Val di Rabbi dove amava ritirarsi, ma soprattutto il suo rapporto con il Coro della Sat ad avere sempre stupito i puristi della tradizione, del pianismo mondiale: come era possibile che uno dei sublimi pianisti della musica classica internazionale, armonizzasse i canti popolari di montagna?
Arturo Benedetti Michelangeli, ABM per i frequentatori delle sale da concerto, si avvicinò piccolissimo al pianoforte. A quattro anni già prendeva lezioni. A 14 si diplomò al Conservatorio di Milano. Cominciò poi la sua carriera professionale e insegnò anche a Bologna e al Conservatorio di Bolzano, dove ebbe molti studenti, ma la prima sua studentessa fu la trentina Olga Gorgazzini, scomparsa l’anno scorso.
Tuttavia il suo rapporto con l’Italia fu difficile, tanto che di fatto il suo domicilio dagli anni ’60 sarà quello luganese in Svizzera, a causa di una confusa vicenda giudiziaria che gli fece tagliare i ponti con il suo Paese, solo ricostruiti nel tempo, anche con la sua città di origine, di cui divenne direttore del festival pianistico.
Personaggio che a molti poteva parere altezzoso, snob, irraggiungibile, ma proprio per questo, soggetto in qualche occasione a qualche scivolata in suo nome, come quando rinunciò al titolo di Cavaliere del Sovrano Ordine di Malta, perché scoprì che sull’isola gli organizzatori di un concerto, che aveva fatto per beneficenza, si erano tenuti il raccolto. E non si parla di bruscolini, qualcuno ipotizza addirittura un miliardo delle vecchie lire. Un’offesa per il Sommo maestro che aveva rinunciato al cachet per questo. Si era sentito umiliato e offeso.
La sua lontananza dal pubblico era visibile nei concerti - sempre più rari nel secondo Novecento - in cui dimostrava di non gradire nemmeno gli applausi, come non gradiva i giornalisti, accettando interviste solo con chi considerava davvero competente, come poteva essere - ed è - Armando Torno. Rifiutava la glorificazione, al punto che rinunciò a otto lauree honoris causa.
Eppure, dalla val di Rabbi, che aveva eletto a sua dimora estiva - e che ogni anno lo omaggia con un festival in collaborazione con la Fondazione bresciana che porta il suo nome - unico luogo italiano dove riusciva a vivere qualche giorno, aveva stabilito rapporti stretti con il Coro della Sat, per cui armonizzò alcuni canti. Il rapporto con i satini fu sempre molto cordiale, amicale, persino stupefacente, se si pensa a come invece teneva lontani da sé musicisti, puristi, fan. In quell’alone di mistero che lo avvolge c’è questo suo altalenarsi tra alto e basso, tra colto e pop che stupisce. Grande fan di Topolino, i cui fumetti divorava con gusto, ha eretto il tocco sui tasti a perfezione scintillante. Forse, oltre al suo gatto «Attila», aveva scoperto grazie ai satini che poteva esserci affetto anche tra gli umani. Ora è nel cimitero di Pura, in Svizzera, Paese che gli ha dato pace.