Roma celebra il grande Raffaello con una mostra "definitiva" che sfida anche il virus
La qualità, prima di tutto, con un progetto scientifico che è il frutto di tre anni di lavoro e al quale ha collaborato un team di super esperti del settore, da Nicholas Penny a lungo direttore della National Gallery di Londra a Dominique Cordellier del Louvre, dalla direttrice dei Musei Vaticani Barbara Jatta al suo predecessore, ex soprintendente di Firenze ed ex ministro della cultura Antonio Paolucci. Ma anche la quantità, con un numero di opere del maestro urbinate, che «mai prima d’ora si erano viste tutte insieme». Roma celebra i 500 anni dalla morte di Raffaello, pittore grandissimo, ma anche architetto e primo storico soprintendente ai beni culturali, e dopo la meraviglia degli arazzi esposti per una settimana nella Cappella Sistina è conto alla rovescia per la rassegna allestita alle Scuderie del Quirinale. Epidemia da coronavirus permettendo , l’apertura al pubblico è prevista dal 5 marzo al 2 giugno, appuntamento «unico e irripetibile, senza nessuna possibilità di replica all’estero», sottolinea il presidente e ad di Ales Scuderie del Quirinale Mario De Simoni. Lo sforzo del resto è stato titanico, ribadisce, con 54 istituzioni coinvolte nei prestiti, dai Musei Vaticani al Prado, dalla National Gallery alla Pinacoteca di Monaco, il Louvre, la National Gallery di Washington. E un valore assicurativo monstre di 4 miliardi di euro, per le 206 opere esposte (120 di Raffaello) più alto persino del Leonardo colossal appena andato in scena al Louvre. Le prenotazioni sono già tantissime, oltre 70 mila i biglietti acquistati, duemila solo nelle ultime ventiquattrore a dispetto delle notizie sempre più allarmanti che arrivano dal nord Italia. «Confermate anche tutte le presenze per l’inaugurazione», sottolinea De Simoni, che pure non nasconde la preoccupazione per l’evolversi degli eventi legati alla salute pubblica: «È chiaro che faremo quello che le autorità ci dicono di fare», allarga le braccia il manager culturale. Nella peggiore delle ipotesi, spiega, si tenterà «uno spostamento temporale».
Tant’è, per ora si va avanti, con il fascino di Raffaello più forte di tutto. Concepito «a ritroso» con un racconto che parte proprio da una ricostruzione della tomba dell’artista al Pantheon, per poi ripercorrerne tutta l’avventura creativa da Roma a Firenze all’Umbria fino alle radici urbinati, il percorso si sofferma in particolare sul periodo romano, «undici fecondissimi anni» dal 1509 al 6 aprile 1520, data della sua morte improvvisa e prematura, avvenuta «dopo giorni di febbre continua e acuta», come scrisse il Vasari.
Sono gli anni dei papi mecenati, Giulio II prima Leone X poi, delle importantissime committenze, dalle Stanze dell’appartamento papale con la Segnatura, capolavoro dei suoi 25 anni, agli Arazzi, i lavori per il ricco banchiere Agostini Chigi e la sua Villa Farnesina. Ma è anche l’epoca dei dei dipinti più iconici, dalla Velata alla Fornarina, dal ritratto di Giulio II a quello di Innocenzo X (tutti in mostra) fino all’impegno di architetto per il cantiere di San Pietro.
Centrale in questo racconto, è la Lettera a Leone X , che Raffaello scrisse insieme a Baldassare Castiglione, una missiva destinata a diventare il fondamento stesso della idea italiana di tutela del patrimonio culturale, principio non a caso poi inserito nella Costituzione: le Scuderie ne espongono la preziosa minuta conservata nell’Archivio di Mantova e già questa è una emozione. Come emozionante sarà rivedere in Italia per la prima volta La Madonna d’Alba prestata dalla National Gallery di Washington o La Madonna della Rosa del Prado, la Madonna dei Tempi inviata dalla Pinacoteca di Monaco. «È la mostra più imponente che avremo occasione di vedere dedicata a Raffaello, ma anche la più sensata perché basata su ricerche scientifiche e novità venute fuori dai restauri», fa notare il direttore degli Uffizi Eike Schmidt, a cui si deve peraltro l’idea di una grande rassegna romana. Due in particolare «il colore del ritratto di Leone X, restaurato dall’opificio delle Pietre Dure». Ma anche la «riscoperta, che si deve a due giovani ricercatrici Roberta Aliventi e Laura Darimbettina, di un frammento di un cartone preparatorio di un dipinto di Giulio Romano che si trova oggi a Padova» . Uno sforzo, sottolinea Marzia Faietti curatrice insieme al direttore delle Scuderie Matteo Lafranconi , «Che è stato anche un ripercorrere le tappe di un percorso intellettuale, quello della nostra generazione». Alla ricerca, tra l’altro, dei messaggi che ancora oggi l’opera di Raffaello può dare.
Uno su tutti, «il più moderno» secondo la studiosa, «è quello di pace» che viene ad esempio dalla Scuola di Atene «dove tante persone di diverse culture dialogano tra loro». Proprio in quegli anni, ricorda, usciva il pamphlet di Erasmo da Rotterdam contro la guerra: « E Raffaello, spirito aperto, era allineato con i grandi pensatori d’Europa, i più grandi pacifisti». Lunga vita a Raffaello.