Sara Segantin, la giovane scrittrice fiemmese che ci parla di ambiente
Ha 24 anni, ha studiato all’estero, ha già pubblicato tre volumi e ha una rubrica fissa a «Geo&Geo» con Sveva Sagramola. E ammira Greta Thunberg
CAVALESE. Oggi è la "Giornata M ondiale della Terra", e lei avrebbe qualcosa da insegnarci. Ha 24 anni, ha scritto tre libri ed ha una sua rubrica nella trasmissione Rai Geo&Geo. Talento, studio, costanza, determinazione. È con orgoglio dice di non avere avuto aiuti e aiutini. «Non so neanche cosa siano le raccomandazioni. Sono contenta di essermi conquistata tutto da sola».
In queste settimane sta promuovendo «Non siamo eroi» (Rizzoli - Fabbri Editori), un romanzo sul pianeta in pericolo e su cosa si può fare. Ha come protagonisti quattro giovani: una storia contemporanea, pensata per i ragazzi, ma non solo, ambientata tra la Val di Fiemme, Trieste e l'Alaska. Sara Segantin di Cavalese racconta con semplicità della sua scrittura, della sua vita e dei suoi successi. Laureata in lingue e letterature straniere e turismo culturale, in tasca ha un master in comunicazione della scienza, un passato scolastico al liceo linguistico «La Rosa Bianca» di Cavalese, uno stage (aveva 17 anni) all'Onu e un periodo di studio alla Montana State University (Stati Uniti). Oggi si divide tra Trento e Trieste.
«La famosa "teleferica" tra le due città esiste veramente» dice ridendo. «Ma poi sono molte le puntate a Roma».
Il prossimo appuntamento pubblico?
«Il 22 aprile, Giornata mondiale della Terra, sarò proprio a Roma per un confronto anche con altri autori. Poi sarò a Geo. Ho iniziato a collaborare con Sveva Sagramola a fine febbraio.La rubrica si chiama "Immaginare, raccontare, diventare". È dedicata a storie di giovani, intrecciate a tematiche calde come l'arte, la scienza, il turismo sostenibile, la gestione degli animali nei parchi naturali. Lo facciamo raccontando vicende di giovani».
Inevitabile parlare del movimento Fridays for Future.
«Io sono stata nel gruppo dei fondatori in Italia. C'è la volontà di fare rete. È un'esperienza che ho vissuto con grande entusiasmo, consapevole che non ci si deve fermare là, che si deve costruire una cittadinanza attiva. C'è anche frustrazione perché è ovvio che non è con una manifestazione in piazza che si cambia il mondo. Si deve tenere conto di ciò che dicono gli esperti, gli scienziati. Deve esserci un dialogo tra generazioni: si deve andare nel profondo per cambiare il nostro stare al mondo».
È difficile parlare alla gente di ambiente in un momento in cui la gente si preoccupa solo del Covid?
«Molto. Viviamo in un'epoca in cui i governi parlano di emergenza economica, sanitaria e sociale. Tutti conosciamo l'importanza di queste emergenze, ma quella climatica, in un certo senso, le comprende tutte. Se fingiamo di non vederla, questa non è sparisce come la nebbia a novembre. I fondi del Recovery Fund possono essere un'occasione tragica di una ripresa post pandemica. Adesso, con il Ministero della transizione ecologica, si torna a parlare di ambiente».
Lei crede veramente a questo ministero? È stato soprannominato «ministero della transazione» perché in ballo c'erano poltrone da spartire?
«Diciamo che il nome "transizione ecologica" è bellissimo e diciamo che finché non vedo non ci credo. Ci spero».
E finora che giudizio ne da?
«Finora hanno fatto troppo poco e questo non è incoraggiante».
Cosa pensa del ruolo giocato da Greta Thunberg? Molti la idealizzano e molti la criticano.
«Io dico che idealizzare o demonizzare una persona non porta da nessuna parte. Si dice che quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito. Greta è un modello molto positivo contro l'apparenza e la superficialità imperanti, ma non possiamo caricare di responsabilità e peso una ragazzina che ha tutte le sue forze e tutte le sue debolezze. Come cerco di dire nel libro, dobbiamo impegnarci tutti in prima persona e non limitarci ad affidarci a dei simboli che annientano tutto il resto. Non fermiamoci solo alle parole di una ragazza che ci ha parlato della sua ansia per il destino del pianeta. Andiamo anche oltre e ascoltiamo gli esperti».
Da dove nasce la sua passione per le tematiche ambientali che traduce in letteratura?
«Credo che sia una cosa naturale per chi è cresciuto sulle montagne».
Non è vero. C'è chi è cresciuto sulle montagne e oggi spinge per costruire nuovi impianti di risalita.
«Giusto. Allora diciamo che è stato un processo. Molto è dovuto all'educazione familiare. Ho avuto la possibilità di viaggiare in Italia e all'estero, di confrontarmi con altre realtà. Avevo 8 anni quando ho visto per la prima volta la Barriera Corallina. Apprendere che poteva scomparire mi diede un dolore fortissimo. La passione per la natura la sentivo sulla pelle fin da piccola. Non importa come ti avvicini a certe cose - per famiglia, per moda o per altro - l'importante è che accada».
Oggi, a 24 anni, fa la scrittrice. Come è iniziato tutto?
«Era il 2018 e con un'amica, Silvia Poli, ho scritto il romanzo "Alika". Fu un salto nel buio. Mandammo il manoscritto a varie case editrici. Quando l'opportunità incontra la fortuna: venne pubblicato da Fanucci. Poi, nel 2020, ho collaborato con il Cai Friuli Venezia Giulia e Fondazione Unesco: abbiamo realizzato un libro, un film e una stampa in 3D delle montagne («Steps - Giovani Alpinisti su antichi sentieri»). Il salto è arrivato con Rizzoli, che cercava un romanzo che avesse come tema la crisi climatica. Tre esperienze diverse, ma tutte e tre molto stimolanti e fruttuose. Per quanto riguarda l'ultimo libro la casa editrice mi sta seguendo molto bene. Come dico sempre, dietro un libro c'è un lavoro di squadra. Non c'è solo chi lo scrive».
«Non siamo eroi» è un libro che si rivolge ai ragazzi e anche agli adulti. Non facile riuscire a "raggiungere" tutti.
«La sfida è riuscire a ad usare un linguaggio semplice ma profondo, preciso ma in grado di "arrivare", complesso ma non complicato. E poi si deve cercare di scrivere poco. Questo libro conta solo 161 pagine. Più breve è il libro meglio è per il lettore, ma più breve è il libro più tempo impieghi per scriverlo».
Cosa trovano i lettori in «Non siamo eroi»?
«Parla della crisi climatica che stroppo spesso viene trascurata. Parla della fine della giornata e di come affrontarla prima della fine del mondo. C'è Alice che, come me, è cresciuta in montagna. Affronta il disastro di Vaia e la crisi climatica, comincia a informarsi, tra ricerca di equilibrio ed estremismo. C'è Teo, che è il suo amico di infanzia, che la prende in giro per le sue scelte. C'è Mike, che è il cittadino perbene e responsabile che si può permettere di essere perbene e responsabile... E poi c'è Elanor, protagonista della parte finale del libro, che dall'altra parte del mondo, in Alaska, ci offre altre prospettive».