Le foto raccontano la rotta dei Balcani: il dramma dei migranti negli scatti di Chiara Fabbro
La 39enne fotografa e documentarista, grazie ai suoi viaggi umanitari, ha messo a disposizione il suo materiale per la mostra "Finding home": dopo le esposizioni ai licei Prati e Da Vinci, da oggi il pubblico potrà visitare gratuitamente la rassegna in sala Thun, grazie all'organizzazione della Rete rotta Balcani e dell'Arcidiocesi di Trento
TRENTO. Lampedusa, Mediterraneo, barconi, Ong, morte. E poi Bosnia, Croazia, muri, freddo, morte. Stiamo parlando di migrazioni e di richiedenti asilo: abbiamo elencato le parole chiave di due diverse situazione, ma in realtà due facce di una stessa medaglia, due facce di una stessa tragedia umanitaria. Nel secondo caso parliamo della cosiddetta rotta dei Balcani: un percorso, molto variabile, che dalla Turchia e dalla Grecia giunge fino ai confini orientali dell'Unione europea.
Lì i migranti vengono bloccati e respinti. Ma alcuni, alla fine, riescono a passare e ad entrare in Italia, per fermarsi oppure per proseguire verso l'Austria, la Germania, la Francia o altri Paesi. E alcuni arrivano anche a Trento: carichi di speranze per una vita migliore, dopo un lunghissimo viaggio, purtroppo spesso si ritrovano a fare i conti con la realtà, ovvero a dormire sotto i ponti in attesa di riuscire ad entrare nei percorsi di accoglienza.
A raccontarci della rotta balcanica, di queste persone e del dramma che stanno vivendo è una fotografa friulana, Chiara Fabbro. Le fotografie che ha scattato in Bosnia Erzegovina fanno parte di una mostra patrocinata da Ics che sarà inaugurata oggi in sala Thun di Torre Mirana in via Belenzani 3 alle 11, e sarà visitabile tutti i giorni fino al 1° gennaio dalle 14.30 alle 18.30. I suoi scatti raccontano le storie di Amir, fuggito dall'Iran e che durante il "game" (ovvero il tentativo di varcare il confine) è caduto in una scarpata in Croazia e poi prelevato dal letto dell'ospedale e rispedito in Bosnia, di Azizullah, un afgano respinto per 17 volte dalla polizia e in Bosnia da un anno, oppure Mohamed, un pakistano che di professione faceva il sarto.
«Sono stata in Bosnia lo scorso inverno e questa estate, e poi in Serbia in primavera - ci racconta Chiara Fabbro da Londra, dove vive dal 2015 - con l'obiettivo di raccontare attraverso le fotografie il dramma dei migranti. Si tratta di persone che vivono in condizioni allucinanti e disumane. La maggior parte provengono da Pakistan e Afghanistan, ma anche da Iraq, Iran, Siria. E quest'anno mi hanno segnalato migranti da Burundi e Cuba».
Fotografare persone che stanno vivendo i momenti più drammatici della loro vita non è bello e non è facile. Ci vogliono empatia e rispetto. «È un aspetto davvero delicato. Solitamente mi approccio alle persone dapprima senza la macchina fotografica. L'obiettivo è conoscere, capire, creare un rapporto di fiducia e rispetto: d'altra parte sono io che invado un loro spazio privato, anche se si tratta di una tenda o di una baracca. Poi ovviamente chiedo il permesso: la maggior parte mi dice sì, capiscono che lo scopo è denunciare una situazione e portare alla luce i problemi».
La foto, in fin dei conti, è l'ultimo aspetto: prima c'è il rapporto umano. «Parlando con le persone un dilemma che spesso mi sono posta è cosa dire quando ti raccontano, sognanti, di quando arriveranno in Europa. Mi dicono che quando riusciranno a entrare troveranno un lavoro e poi ci sarà il ricongiungimento con la famiglia: ma io so bene, purtroppo, che non sarà tutto facile e che spesso ci vogliono anni. Insomma, è difficile capire se in un momento così difficile sia giusto mantenere in vita le loro speranze, che potrebbero rivelarsi illusorie, o se sia meglio essere cinicamente realisti».
La 39enne fotografa e documentarista, grazie ai suoi viaggi umanitari, ha messo a disposizione il suo materiale per la mostra "Finding home": dopo le esposizioni ai licei Prati e Da Vinci, da oggi il pubblico potrà visitare gratuitamente la rassegna in sala Thun, grazie all'organizzazione della Rete rotta Balcani e dell'Arcidiocesi di Trento.
«Queste persone, spesso con bambini, scappano da situazioni drammatiche. Il loro sogno è semplicemente quello di avere una vita dignitosa. Sbloccare la situazione è possibile: se tutti i soldi che l'Europa investe per i controlli alle frontiere li investisse in seri progetti di accoglienza con l'obiettivo dell'integrazione il futuro dei migranti sarebbe migliore. Anche perché la storia ci insegna che chiudere le frontiere non risolve nulla, il problema si sposta e basta».