Stewart Copeland, atteso a Pergine: «Ho riarrangiato le canzoni dei Police, suonate con un'orchestra e tre vocalist soul»
Parla l’ex batterista e fondatore della celebre band, che sarà in concerto domenica 16 luglio al Parco Tre Castagni: sul palco anche l'orchestra del conservatorio Bonporti di Trento, tre cantanti e un chitarrista
L'EVENTO Stewart Copeland in concerto a Pergine il 16 luglio con l'orchestra del conservatorio Bonporti
TRENTO. Conto alla rovescia iniziato per quello che si annuncia come l’evento musicale, se si parla di artisti internazionali, dell’estate trentina.
L’appuntamento è quello con l’ex batterista dei Police Stewart Copeland in concerto domenica 16 luglio al Parco Tre Castagni di Pergine.
Il musicista statunitense, cresciuto musicalmente nella Londra degli anni ’70, con Sting, al secolo Gordon Matthew Thomas Sumner, e Andy Summers sarà in Italia con “Stewart Copeland’s Police Deranged for Orchestra” un live che unisce una rock band e un'Orchestra, in questo caso quella del Bonporti.
Una scelta, quella di suonare con giovani musicisti, che Copeland, raggiunto al telefono nella sua abitazione in California, ci racconta in questa intervista.
Stewart Copeland, cosa racchiude il tour che la porterà anche in Italia?
«In questi live ci saranno tante canzoni che la gente conosce, le più importanti dei Police ma suonate con un'orchestra e tre vocalist dal timbro soul. Le ho riarrangiate prendendo spunto dalle improvvisazioni che facciamo sul palco e altre che abbiamo fatto in studio e ho usato alcune parti per realizzare queste versioni. E ovviamente suonerò qualcosa io alla batteria».
Cosa può anticipare ai suoi fan italiani della setlist?
«Non voglio anticipare molto ma ci saranno di sicuro tutte le loro canzoni preferite insieme a qualcuna meno nota ma che credo sia bello far conoscere e proporre live».
Al suo fianco in alcune date ci sarà un'Orchestra di giovani musicisti: le piace questo tipo di collaborazione?
«Assolutamente sì. Una cosa che mi piace particolarmente delle orchestre è che i musicisti sanno leggere la musica. Puoi dare loro gli spartiti al pomeriggio e saranno pronti per il concerto la sera stessa. Una rock band, invece, impiega sei settimane».
Da fan dei Police le chiederei cosa le manca di più degli anni con la band?
«Devo pensarci un po' per vedere se mi ricordo qualcosa… (mr. Copeland sorride, ndr). Posso dire che sono stati tempi bellissimi. Ricordo la sensazione che provavo quando stavamo raggiungendo qualcosa, ottenendo dei risultati. Quando suonavamo davanti al pubblico, la gente impazziva ed era grandioso. Ho esitato a rispondere perché c'era anche tanto nell'esperienza dei Police che non era così bello ma dopo tutto va bene così. Era il prezzo da pagare per ottenere quel che abbiamo ottenuto».
Quando ha iniziato nella Londra degli anni '70 si sarebbe mai aspettato un simile successo del gruppo?
«Beh sì. Tutti i gruppi quando cominciano devono pensare che conquisteranno il mondo. Ogni componente della band riassicura gli altri sul fatto che ce la devono fare, che spaccheranno. Se non fosse così mollerebbero tutti».
Quanto volevate essere davvero punk?
«È stato solo nei primi due anni, quella era la scena in cui ci potevamo muovere, lo spazio a nostra disposizione e abbiamo esteso il nostro vocabolario musicale in quel modo».
Il suo disco imprescindibile con i Police?
«Reggatta de Blanc, perché anche se non avevamo abbastanza materiale per un album intero, ai tempi il nostro entusiasmo era al massimo, eravamo in un periodo fortunato e alla fine lo abbiamo realizzato tutto in studio».
Mentre i brani, alcuni, che la emozionano maggiormente suonare ancora oggi dal vivo?
«Sono tutti diversi. Mi piace Message in a Bottle perché ha tanta energia o Don't stand so close to me perché è molto delicata».
Nel suo percorso di musicista ci sono diverse colonne sonore di film come Rusty il selvaggio di Francis Ford Coppola, Talk Radio, Wall Street, ma anche televisive come Dead Like Me: qual è la difficoltà maggiore nell'unire la musica alle immagini?
«Mi piace molto per la sfida insita in questo lavoro. Quando sei un artista puoi realizzare la musica che vuoi, che crei in maniera spontanea. Quando sei un compositore, lavori per qualcun altro, sei un professionista non un artista. Il lato positivo è che ti costringe ad andare in posti che non esploreresti volontariamente e così facendo impari molte cose».
La sfida più grande nel realizzare la musica per un film?
«Credo si trovi nelle emozioni che devi saper esprimere: non puoi essere solo triste o felice ma devi esprimere felicità con un po' di rimorso mista a un tocco di commedia, ci sono due o tre strati. Questo tipo di musica è estremamente precisa per quanto riguarda le emozioni e trovare quel giusto mix è di sicuro la sfida più grande».
Tornando alle origini da dove nasce la sua passione per la batteria, che lei ha imparato a suonare in Libano?
«Quando ero piccolo ero molto minuto, mentre i miei amici crescevano più di me e per questo venivo messo da parte. Quando ho iniziato a suonare la batteria, invece, mi sono sentito invincibile. E' questo che mi ha spinto a iniziare a suonare».