Ragazzi chiusi in camera, casi in aumento. La psicologa: «Non reggono le pressioni sociali»
L'allarme per i molti giovani che a un certo punto perdono interesse a stare nella società, che si sentono inadeguati e si isolano, comprensibile lo smarrimento dei genitori
CRISI Il grido di una mamma: «Mio figlio è depresso e io mi sento lasciata sola»
DATI Un ragazzo su 4 ha sintomi di depressione da post pandemia
STUDIO Gli effetti sociali della pandemia: anziani e giovani i più colpiti
TRENTINO La sofferenza degli adolescenti: isolamento e rischio di depressione
ITALIA Il 31% dei maggiorenni vive una situazione di stress psicologico
TRENTO. Numeri ufficiali a livello provinciale non ce ne sono, ma è unanime la convinzione che gli Hikikomori, ossia i ragazzi che si isolano chiudendosi in casa, sono in aumento. Nel 2016 una ricerca riportava circa 100.000 casi in Italia, dati sottostimati in quanto queste sono le situazioni che sono state esposte ai vari servizi per chiedere aiuto; molte situazioni rimangono senza richieste o identificazione del problema, e si è inoltre verificato un aumento dei casi dopo l'evento della pandemia.
Le dinamiche sono note. Parliamo di ragazzi e ragazze che a un certo punto perdono interesse a stare nella società, che si sentono inadeguati alle pressioni che arrivano dall'esterno. Le motivazioni possono essere le più diverse, ma il risultato è spesso lo stesso: si isolano nelle loro stanze e non escono più. Comprensibile lo smarrimento dei genitori. La storia raccontata sul giornale dalla mamma di un sedicenne di Trento è comune a molti genitori. Disorientamento, difficoltà a relazionarsi con il figlio, paura, senso di impotenza sono i sentimenti predominanti in famiglia mentre il ragazzo vive in un mondo tutto suo, collegato all'esterno solo attraverso internet.
La psicologa Ilaria Postal è la referente regionale Trentino Alto Adige di Hikikomori Italia psicologi mentre Marisa Peddoni è la referente regionale dell'associazione per i genitori.
«Un fenomeno che sta crescendo - ammette la psicologa - e proprio per fare il punto sulla situazione il 25 novembre abbiamo organizzato un convegno a Rovereto dove saranno presenti i vertici dell'associazione, ma anche l'Università, l'Azienda sanitaria e la Provincia e sarà l'occasione per vedere i numeri, capire cosa c'è sul territorio e quello di cui ci sarebbe bisogno. Purtroppo ancora oggi non è facile riconoscere questo disagio e il fenomeno è sottostimato. Viene scambiato per altro e quindi anche gli interventi non sono sempre adeguati». Intercettare subito i campanelli d'allarme, mettere in atto buone pratiche per non peggiorare il rapporto tra genitori e figlio, chiedere aiuto a professionisti esperti e incontrare altri genitori che hanno vissuto o vivono la stessa situazione è la strada da percorrere secondo la psicologa e la referente dei genitori.
«Cerchiamo di collaborare con le scuole perché il loro ruolo è molto importante per intercettare il problema. Stiamo parlando di ragazzi, soprattutto maschi, intelligenti e sensibili, che non reggono la pressione sociale, che non si sentono all'altezza delle richieste che arrivano dall'esterno e, in difficoltà, si ritirano. Non si tratta di una malattia, ma l'espressione di un disagio attraverso un ritiro del ragazzo che può arrivare ad una intensità e durata tale da far sviluppare anche sintomi patologici, come la depressione. Sono ragazzi che a volte sono vittime di bullismo, ma in ogni caso ogni situazione è diversa e ogni ragazzo ha la sua storia e la sua struttura. Il Hikikomori non riesce più a fare fronte alle richieste della società e si ritira sia fisicamente, chiudendosi in camera, che socialmente, non avendo più rapporti con gli altri», spiega la dottoressa Postal.
L'unico contatto con l'esterno sembra essere internet. Per questo i genitori di ragazzi che manifestano questa difficoltà pensano che togliendo questo collegamento possono migliorare la situazione. Non è così. «La reazione dei ragazzi in caso di limitazioni dei genitori sull'uso di internet può essere molto forte proprio perché questo rappresenta il collegamento del ragazzo con il mondo. Per trovare le giuste risposte è importante che i genitori parlino tra di loro, si confrontino supportati da un esperto in modo da capire le dinamiche che aiutano e quelle che non aiutano».
Su questo l'associazione può essere di grande supporto. «Noi siamo genitori che ci riuniamo circa una volta al mese confrontandoci sul disagio. Insieme cerchiamo risposte, ci sosteniamo a vicenda, abbiamo stilato un protocollo di buone pratiche perché non bisogna arrivare allo scontro con i ragazzi», dice Marisa Peddoni. «I genitori entrano in un tunnel e non hanno strumenti per uscirne. Spesso non riescono a trovare le risposte che cercano perché il disagio non è facile da identificare».
Che la neuropsichiatria e la psicologia clinica dell'Apss siano in difficoltà a rispondere in maniera veloce ai bisogni è cosa nota. «Sono sovraccarichi di lavoro. É importante collaborare, per esempio noi possiamo dare una risposta più veloce e immediata; poi dobbiamo ricordare che un aiuto non esclude mai l'altro, ma intanto i genitori possono iniziare ad avere sostegni e a non sentirsi soli come nel caso della mamma che ha parlato attraversi il giornale». Inoltre è importante scardinare le dinamiche che si instaurano - inevitabilmente con l'insorgere del comportamento di ritiro - all'interno della famiglia e la terapia con i genitori ma anche il lavoro con il gruppo famiglia riveste un ruolo centrale per iniziare ad affrontare il problema, dice la psicologa.
Anche l'età media dei ragazzi che manifestano questo disagio sembra essersi abbassata. In alcuni casi a chiedere aiuto sono stati genitori di bambini che frequentano le elementari. «Di solito però vediamo che i primi segnali si manifestano alle medie e poi aumentano alle superiori. Non è così raro che il ritiro si manifesti anche nel periodo dell'università. Con la loro chiusura i ragazzi cercano di comunicarci che questa società non gli piace», dice la psicologa. La referente dell'associazione manda infine un messaggio di speranza.
«Da soli è difficile, ma insieme si può farcela. Importante è rendersi conto della situazione, riconoscere il disagio e confrontarsi per affrontare il problema».Per informazioni è possibile rivolgersi alla referente dei genitori dell'associazione (340 6632853 o mail trentinoaltoadige@hikikomoriitalia.it) o alla referente regionale psicologi (dottoressa Ilaria Postal trentinoaltoadige.psi@hikikomoriitalia.it).