Cosmo: «I miei concerti sono un grande “rito pagano” collettivo, senza barriere e senza censure»
Parla il cantante oggi sul palco a Rovereto tra libertà, sperimentazione e Antipop (foto Elena Di Vincenzo)
Tra i tanti momenti della giornata di Utopia, proposta dei ragazzi del Poplar, in collaborazione con il Mart, presso cui si svolgerà l’evento, sarà centrale il live della sera – per cui saranno presenti Cosmo, Coca Puma, French79 e Bruno Belissimo.
Con Cosmo, all’anagrafe Marco Jacopo Bianchi, il musicista “antipop”, termine omonimo al documentario realizzato sulla sua figura da Jacopo Farini – che sarà anche proiettato nelle sale del Mart durante il pomeriggio, c’è stato modo di scambiare due chiacchiere prima del concerto. Di seguito l’intervista con il cantante e produttore, ormai un simbolo della ricerca musicale “libera” e anticonformista.
Sarai centrale nella giornata di Utopia, il pomeriggio ci sarà infatti una proiezione di ANTIPOP, partiamo da qui: cosa ne emerge di Cosmo? Una visione è consigliata prima del live per empatizzare con te che sarai sul palco?
Lo anticipa anche il titolo, ANTIPOP, una parola che indica il tutto e non il singolo, un universo e non una persona. È proprio approfondendo questo concetto che, partendo da un’idea di Jacopo Farina, abbiamo voluto sviluppare il docufilm. Non vuole essere un’esaltazione di un artista e dei suoi traguardi ma un mezzo ulteriore rispetto alla musica per raccontare la mia storia. Non c’è autocelebrazione nelle immagini che scorrono ma un messaggio collettivo, diverso, è il racconto del mondo di chi mi sta vicino. Tutto questo lo si ritrova nei miei live: mi piace che la gente stia nella musica, non focalizzata su di me, poi lo so che quando canto devo comunicare visivamente ma preferisco condividere il palco, dare spazio alla band, ho Pan Dan (corista) che si prende la scena e a me fa piacere. Non ci sono solo io.
Ci sarà anche il tuo nuovo disco, “Sulle ali del cavallo bianco”. Cosa credi che prevalga, contando gli esperimenti e le idee proposte nel tempo? Ce lo racconteresti?
Ho lavorato alla realizzazione dell’album con Alessio Natalizia, in arte Not Waving, volevamo fare un disco da riascoltare, con cui raccontare delle storie. L’intento comune era quello di creare qualcosa che ancora non esistesse, una realtà nuova, cercando però di essere diretti e sinceri, di fare pop e empatizzare. Il mio lavoro precedente, “La terza estate dell’amore”, era più orientato verso il mondo del clubbing. Mi sono rimesso in discussione, è stato un gioco divertente che ha aperto porte e mi ha reso ancora più libero.
Il live per cui torni a Rovereto è “Utopia”, arte, arte, arte, ma anche – appunto – Utopia. Qual è la tua Utopia? Un sogno artistico, politico, esistenziale?
Olivetti, quando parlava della sua visione, usava sempre il termine utopia, e questa cosa – da buon eporediese – l’ho completamente introiettata e fatta mia. Tant’è che mente lavoravamo a “Sulle ali del cavallo bianco” parlavamo spessissimo proprio di provare a dare vita a una sorta di utopismo musicale che nel mio caso si traduce nel provare a fare musica pop ma con uno sguardo alieno, non allineato, libero e con – appunto – l’utopia che se tra cinque, dieci, cinquant’anni qualcuno ascolterà ancora le mie cose si ritroverà a pensare “madonna che combinava questo tizio all’epoca”.
Chi fa musica sperimentale sembra soffrire l’incanalamento che avviene verso il calderone che chiamiamo “pop”. Come vivi questo fenomeno? Anche con la vera indipendenza, quando arrivano i numeri si comincia a parlare di pop, qualcuno storce il naso un po’ per partito presto a riguardo. Il mainstream non si può combattere da dentro?
Io stesso parlando del mio nuovo disco ho usato più volte il termine pop, non sono tra chi storce il naso per partito preso, il mio pop convive con la mia parte sperimentale, con la voglia di liberarmi di ogni stereotipo, di cambiare continuamente strada. Credo che l’unico modo di vincere questo clima sia cercare di essere pop superando certe dinamiche dominanti: lo sfoggio di numeri, il voler scalare le classifiche a tutti i costi, l’autocelebrazione. Tutte cose che non hanno nulla a che fare con la musica. Personalmente quello che mi interessa è l’autenticità che si raggiunge avendo il coraggio di uscire dalla logica del successo come fine ultimo. Se sei abituato a numeri enormi quando inizi a non raggiungerli più vai in crisi, eppure è proprio lì che inizia la vita vera. Non si fa musica per fare numeri.
Una domanda classica in chiusura: per quanto riguarda il futuro (e il presente) della tua musica, come saranno i tuoi prossimi live? C’è già nuova musica in cantiere? E perché no, un ritorno a Trento – dove sei già stato per il Poplar.
I miei concerti sono un grande “rito pagano” collettivo, una festa dove si canta, si piange, si ride e si balla dando al corpo quello che il corpo vuole. Sul parco porto la mia musica senza barriere né censure. Quello che conta alla fine per me è lo stupore: voglio che i miei concerti siano, per chi mi segue e per i nuovi arrivati, un’occasione di apertura mentale e di comunità, di vivere una magia che unisce le persone, le anime e i corpi. Dopo il tour estivo non so dirti, credo sicuramente mi prenderò una piccola pausa.