Nicola Lagioia: «La menzogna passa facilmente sul web»
Parla lo scrittore, sceneggiatore, conduttore radiofonico che oggi, a Trento, partecipa all'incontro "La città dei vivi. Dialogo tra giornalisimo, finzione e attualità", con l'esperta di nuovi media Silvia Boccardi, alla Bookique in San Martino, per la rassegna Generazioni
TRENTO. Quanto la vita vera incide nella narrazione e quanto il mondo reale, nelle sue manifestazioni, supera i limiti dell’immaginario? E’ questo uno degli interrogativi a cui proveranno a dare risposta Nicola Lagioia, scrittore, sceneggiatore, conduttore radiofonico e Silvia Boccardi, giornalista, autrice, esperta di nuovi linguaggi mediali nell’incontro “La città dei vivi. Dialogo tra giornalisimo, finzione e attualità” in programma oggi alle 18.30 alla Bookique per la rassegna Generazioni. Per l’occasione abbiamo sentito Nicola Lagioia che è stato direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino fino al 2023 ed oggi dirige la rivista multimediale “Lucy Sulla Cultura”.
Nicola Lagioia, nel titolo dell’incontro di Trento si fa riferimento all’indagine sui confini tra realtà e finzione, attualità e immaginazione.
“Per quanto riguarda la letteratura, diciamo che di solito si occupa di finzione anche se spesso rielabora qualcosa di reale. Ci sono poi dei casi isolati in cui la letteratura fa a meno della finzione e racconta fatti, situazioni, persone che sono realmente esistiti come è il caso del mio ultimo libro “La città dei vivi” Ho sempre scritto romanzi ma questa volta ho ricostruito un caso reale. Si tratta comunque di un’opera letteraria perché si utilizza comunque una cifra linguistica, una costruzione drammaturgica, una componente emotiva che sono tipiche della letteratura”.
Tutto oggi sembra finire in un vorticoso tritatutto, specie nel magma del web, in cui ognuno trova la propria verità.
“Da questo punto di vista sono un uomo del Novecento, sono nato nel 1973 e mi è rimasto quell’imprinting: la lezione del secondo Novecento è che la cosiddetta post-verità è una menzogna spacciata per verità che è proprio il contrario della letteratura che è una finzione dichiarata che mettendo una maschera alla realtà fa dire la verità. La lezione terribile del primo Novecento invece è che le menzogne sono alla base di regimi e dittature, delle cose peggiori che sono successe nel secolo scorso dove c’erano i ministri della propaganda che raccontavano cose deliranti spacciandole per verità. E come abbiamo visto il fact-checking non è un’attività che la gente fa volentieri anche perché è presa da altro, non possono essere tutti addetti ai lavori”.
Questo cosa significa?
“Vuol dire che la menzogna passa molto facilmente e il web è un terreno di coltura abbastanza incredibile. Lo abbiamo visto con Cambridge Analitica che potrebbe aver giocato sporco in più di una competizione elettorale e già ci sembra un’arma spuntata rispetto a quello che si può fare l’intelligenza artificiale. Da questo punto di vista sono molto preoccupato come lo sono per il fatto che il possessore di uno dei social più usati “X” nonché uno degli uomini più ricchi del pianeta stia facendo campagna elettorale per Donald Trump. Sarebbe stato ugualmente preoccupante se lo avesse fatto per Kamala Harris perché stando nella stanza dei bottoni può cambiare gli algoritmi privilegiando le informazioni distorte a vantaggio dell’uno o dell’altro”.
In questo contesto c’è tutta la dimensione dei social.
“Certo, i social sono un po’ la negazione del pluralismo perché ci sono piattaforme da miliardi di utenti che sono posseduti da una sola persona o da un partito come in Cina. E’ una cosa faticosa e complicata. Mi chiedo come si informeranno quelli che crescono adesso che non sono abituati ad avere gli strumenti del pluralismo che avevamo noi. Si può anche dire che essendo nativi digitali impareranno a distinguere meglio la verità dalla menzogna di noi ma è un mondo molto complicato. Secondo me le democrazie sono infragilite dal fatto che l’informazione sia diventata una branca dello storytelling, ad esempio quando i politici fanno campagne elettorali comunicando sui loro social senza intermediazione. Non posso cambiare la direzione in cui va il mondo ma posso dirmi preoccupato”.
Poi ci sono le sfide date dalla rivoluzione in atto sull’Ai.
“Parlo sempre di intelligenza artificiale perché mia sorella insegna a Bologna l’intelligenza artificiale rispetto al diritto e anche lei è allarmata. Credo sia materiale per la politica che, quando c’è una fonte di informazione dilagante e potentissima che diffonde false notizie, ha il compito di porre argini, limiti e anche sanzioni se le false notizie possono orientare un’elezione, creare una rivolta, mettere ingiustamente nei guai le persone. Sono reati per come sono abituato a percepire le cose. Solo che la politica è molto lenta rispetto alla velocità di questi fenomeni ed è fragile davanti alla forza di queste piattaforme. Noi cittadini abbiamo molti limiti non si capisce perché non li debbano avere anche le multinazionali”.
Quali allora le sfide che oggi dobbiamo affrontare noi giornalisti?
“Non è tanto cosa possano fare i giornalisti perché quando ci sono delle buone condizioni per lavorare, lavorano bene, ma cosa possono fare gli editori. Almeno in Italia il problema è che i giornali sono più deboli che in passato: hanno meno soldi e minori risorse significano meno indipendenza e meno tempo per verificare le notizie. C’è un compito degli editori a cui stanno venendo un po’ meno in questi anni perché almeno per adesso non sono riusciti a rafforzare i loro giornali, anche se so che non è facile. I giornalisti, dal canto loro, in attesa di nuove risorse non dovrebbero inseguire la rete, inseguendone la superficialità perché su quel terreno vince sempre lei perché è più veloce e pervasiva”.
Parliamo di "Lucy sulla cultura" la rivista multimediale che si occupa di cultura, arti e attualità di cui lei è stato fondatore ed è oggi direttore.
“Siamo soddisfatti perché il primo anno la rivista era completamente in chiaro mentre adesso abbiamo lanciato un abbonamento per alcuni contenuti e c’è stata una buona risposta che ci consente di andare avanti. E’ un terreno nuovo e navighiamo in un mare abbastanza enigmatico ma abbiamo raccolto un pubblico, sappiamo di parlare a qualcuno e riceviamo anche le reazioni dei lettori, si è già creata insomma una visibile comunità intorno alla rivista ed è rinfrancante”.
Il suo ultimo libro “La città dei vivi” è del 2020 come ha metabolizzato queste pagine?
“In tutto il periodo in cui ho raccolto materiale e ci ho lavorato ero totalmente immerso in quella storia tragica. Finito il libro sono tornato ad essere un semplice lettore, questo accade con tutti i miei libri, non solo con questo. Mi sono dato delle regole abbastanza strette questa volta perché potenzialmente con una storia vera potresti andare avanti all’infinito a indagare e ciò mi ha consentito di venirne fuori anche da un punto di vista emotivo ma mentre lo scrivevo non pensavo a nient’altro. Oggi sto sempre scrivendo un libro ma ci vorrà un po’ di tempo perché sono lento, ne pubblico uno ogni cinque o sei anni. Scrivere e occuparmi di Lucy è quello che spero di fare nei prossimi anni”.