Teatro / L’evento

Andrea Castelli porta in scena Bruno Kessler. Con i Cantori de Vermei, in una rilettura non scontata

Metti insieme il comico più trentino che ci sia, con la memoria inamovibile del grande politico: «ho letto molto, l’ho studiato, era lungimirante, era più avanti di tutti. Ed agiva con astuzia e fermezza»

di Fabio De Santi

TRENTO. Sarà uno dei volti più noti del teatro trentino, Andrea Castelli, a raccontare Bruno Kessler nello spettacolo che andrà in scena il prossimo martedì 10 dicembre al Teatro Sociale (Inizio ore 19.30; ingresso libero).

Il ricordo dell’avvocato, politico e senatore che segna “Bruno Kessler. Cent’anni“ è stato voluto e ideato in occasione del centenario della nascita di Kessler dalla Fondazione Bruno Kessler e dall’Università di Trento; ad accompagnare nel monologo di e con Andrea Castell, il Coro solandro dei Cantori da Verméi diretto da Alberto Delpero. La regia è di Andrea Franceschini, della Fondazione Bruno Kessler, con la consulenza documentale di Camilla Tenaglia e Maurizio Cau, in un momento in cui si vuole ripercorrere, come ci racconta Castelli in questa intervista, la vita, la carriera e il legame indissolubile di Kessler con il Trentino.

Andrea Castelli, perché uno spettacolo su Bruno Kessler?

“Università e Fondazione BK mi hanno interpellato tempo fa per sentire se ero disposto a fare questa serata in occasione dei cent’anni dalla sua nascita. Ho accettato senza quasi pensarci troppo perché il personaggio fa parte della nostra storia, la storia di noi trentini. Poi sono stato preso dai dubbi perché non sono un biografo specialista. Anche se come attore voglio spesso cambiare registro per non ricalcare i facili cliché, qui la partita si presentava ardua. Poi sono cominciati i dubbi. Che ci faccio io qui?”

Come si è avvicinato a questa figura imprescindibile per la recente storia del Trentino?

“In molti mi dicevano “Senti Tizio che era suo amico!” oppure “Ascolta Caio che collaborava con lui!”… ascolta questo, senti quello…sono andato in confusione: che me ne facevo di una serata di riporto? Ho detto no, io parlerò del “mio” Kessler, giusto o criticabile che sia il mio intento devo essere diretto, magari sbaglierò, ma lo farò da solo. Accanto ai bravissimi e particolarissimi “Cantori da Vermèi” diretti da Alberto Delpero che mi daranno una mano con Andrea Franceschini e i suoi video. Mi sono arrampicato sui miei ricordi, ho letto qualche suo discorso che mi ha rinfrancato, qualche libro (quello di Giampaolo Andreatta mi è stato molto utile) e poi, come faccio da sempre, tirerò le conclusioni e dirò la mia. Altrimenti che ci faccio io qui?”,

In quale modo ha deciso di raccontare Bruno Kessler?

“Non interpreterò Bruno Kessler con parrucca e baffi finti se è questo che volete sapere. Sarebbe ridicolo, no? Lo racconterò interpretando quello che so, riportando il suo pensiero che era la sua forza. Non voglio fare una serata di sola commemorazione, né farne un santo, ma vorrei (se ci riesco) portare chi ascolta verso una sera di emozioni per ricordare un uomo e anche un’epoca che era difficile, ma che già portava i fermenti di qualcosa che era nuovo e si avvicinava burrascosamente. Bisognava coglierlo al momento giusto e questo Kessler lo seppe fare”.

Cosa l'ha colpita di più dell'uomo?

“La sua curiosità. E il suo altruismo verso la gente. Nella serata dirò che per questa sua curiosità (lo sapete che per l’Irst si fece tentare dalla nanotecnologia e dall’Intelligenza Artificiale ed era solo l’85!), mi ricorda Ulisse che vuol capire, che vuol sentire la voce delle Sirene per aiutare i compagni a non cadere in trappola. So che la retorica in questi casi è sempre in agguato, ma questa è l’immagine che più mi piace”.

E del politico?

“La sua determinazione, l’assumersi le proprie responsabilità in prima persona, la volontà di arrivare fino in fondo a qualsiasi costo. Quando seppero che si sarebbe candidato tentarono di dissuaderlo in molti. Temevano la sua risolutezza, il suo “Ghe penso mi!”, in politica preoccupa un uomo che fa quel che dice. E lo fa per davvero. Allora come oggi. “Guarda Bruno che la politica è una cosa sporca” gli disse qualcuno all’orecchio e lui rispose “Per questo voglio andare a vedere”.

C'è un aneddoto che lei racconterà sul palco del Sociale che può anticipare ai nostri lettori?

“Sì, un giorno mi parlò, brevemente ma significativamente. Avevo meno di trent’anni, un po’ scavezzacollo, ed avevo scritto un mottetto, garbato ma spiritoso, su di lui che uno dei nostri giornali pubblicò con gusto. Di lì a qualche giorno incontrai Kessler in un ristorante, per caso, con tutto il suo staff, e appena mi vide mi fece cenno di avvicinarmi. Capii subito! Attenzione: qui bisogna dire che io appartengo a quella generazione che portava rispetto all’autorità, qualunque essa fosse, anche se la si contestava. Per cui mi avvicinai temendo una lavata di capo, un rimbrotto di qualche tipo. Invece con mia grande sorpresa, in un breve dialogo che coinvolse anche un accenno a mio padre, evidentemente lo conosceva per il teatro, mi confessò che quel breve mio scritto (non l’ho mai più ritrovato) lo aveva divertito. Ricordo il gran sospiro di sollievo che tirai dentro di me e la soddisfazione che provai per il suo apprezzamento”.

Il nome di Bruno Kessler sarà sempre legato all'Università di Trento da lui fortemente voluta.

“Quando si parla di lui è la prima cosa che viene in mente ai trentini. A quelli attenti, almeno: l’Università, per la quale si batté con tutte le sue forze, con tutta la sua voglia di cultura. Sosteneva la cultura in tutti i modi: la politica senza cultura era un fallimento per Bruno Kessler, l’economia senza un supporto culturale era solo aridità. Si circondò assiduamente di uomini di cultura: politica e cultura, tecnica e cultura, studio e cultura. Una dolce ossessione. In quel periodo entrarono nel palazzo della Provincia –lo osserva Giampaolo Andreatta nel suo libro- più intellettuali che portaborse. L’uomo sapeva guardare oltre i confini della provincia sonnolenta, la provincia che si accontenta, “Per Trent l’è anca massa!” dicevano allora i trentini (per Trento è fin troppo!) una città che si chiedeva ottusamente a cosa servisse un’Università a Trento, con tutte le università che ci sono in Italia. Invece il progetto lui, Bruno Kessler il solandro, lo portò avanti con testardaggine, come sappiamo oggi, con astuzia e fermezza. Era depositario di una lungimiranza che non conosciamo più: l’Università, oggi un’eccellenza, l’Istituto agrario di San Michele, un punto di riferimento per l’enologia dell’arco alpino e non solo, il PUP o piano urbanistico provinciale… l’Irst, Istituto di Ricerca Scientifica e Tecnologica, tutte idee di Bruno Kessler. Il quale trovava anche il tempo di tornare nella sua val di Sole per intonare una canta con i cantori di Vermiglio o per fare una partita alla morra e portarla avanti fino a tarda notte”.

Oltre l'agiografia e la sua indubbia statura di politico Kessler incarnava uno dei volti della Democrazia Cristiana che ha segnato per decenni la storia del Trentino.

“Kessler era un politico con la P maiuscola. Capisco solo ora quanto ha fatto per il Trentino e la sua gente. Per noi, anche per me, sì. Solo l’alluvione del 1966 lo fermò per un momento. Come fermò tutti noi, ma si riprese subito organizzando i soccorsi specialmente per il Primiero, per la gente della Valsugana e la Val di Cembra. “Mai abbandonare le periferie!” sosteneva e si rimboccò le maniche creando una macchina organizzativa rapida ed efficace che pian piano fece tornare a galla quanto era stato sommerso e travolto. Quanto tenesse alla sua gente Kessler lo fa diventare un gigante: “C’era una volta un uomo al servizio del cittadino”.

Da ricordare anche come Kessler seppe affrontare la questione altoatesina.

“Kessler fu controcorrente anche in questo caso, opponendosi ai “falchi” che volevano andar giù duri sulla faccenda. Contrario naturalmente agli attentati che, sosteneva, avrebbero guastato ogni tipo di collaborazione, riconosceva ai “Cari amici tirolesi” i loro diritti a parlare la loro lingua, a tramandare le loro tradizioni, a tenere le loro scuole nel triste ricordo dei torti subiti dal fascismo “e non ancora riparati”. La storia ne è testimone e se non la si conosce, si tramanderà solo l’ignoranza”.

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