Meno shopping festivo, anche la Provincia dice sì

di Andrea Bergamo

Commercianti e amministrazione provinciale guardano con favore al disegno di legge del governo gialloverde che punta a introdurre dei limiti alla liberalizzazione in materia di commercio introdotta nel 2011 dall’allora premier Mario Monti. «Forse il governo Conte tiene nascosto da qualche parte un libricino che contiene tutti i provvedimenti introdotti in Trentino e li copia cercando di non darlo a vedere» scherza il vicepresidente della Provincia Alessandro Olivi, assessore competente in materia di commercio.

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L’obiettivo del governo con il sottosegretario all’economia Davide Crippa prevede - tra le altre cose - un massimo di 12 giorni l’anno di festività lavorate per ogni esercizio commerciale. In ogni Comune si vuole consentire l’apertura di appena un quarto dei negozi nei giorni festivi per ogni settore merceologico, con turni a rotazione stabiliti dai singoli Comuni. Nelle località turistiche M5s e Lega intendono invece mantenere una liberalizzazione completa.

Nel 2010 in Trentino era stata approvata la legge sul commercio che introduceva dei limiti alle aperture domenicali e alle grandi superfici di vendita. «Una mia battaglia che dura da anni, uscita indenne dai ricorsi presentati dalla grande distribuzione che ci ha consentito di tutelare il territorio - ricorda Olivi -. Nello specifico, per quanto riguarda gli orari, la norma introduceva un sistema flessibile e dava la possibilità alle amministrazioni comunali di di differenziare le giornate di apertura in base alle esigenze e ai periodi di alta o bassa stagione». La Provincia puntava dunque su un sistema decisionale che partiva dal basso - con la collaborazione delle categorie economiche e dei rappresentanti dei lavoratori - al quale tuttavia il governo Monti aveva posto uno stop con il decreto «Salva Italia».

«Il governo nazionale aveva completamente disarcionato la nostra disciplina, che aveva una forte valenza sociale, giustificandola con un adeguamento alla normativa europea sulla concorrenza». Eppure nei Paesi dell’area alpina (dalla Svizzera all’Austria, fino a Francia e Germania) non vige la «liberalizzazione selvaggia» che caratterizza il territorio italiano. «Avevo avanzato l’idea di presentare ricorso per far valere le prerogative della nostra autonomia, ma il governatore dell’epoca Lorenzo Dellai e il resto della giunta non lo avevano ritenuto opportuno, anche per via delle delicate trattative in corso con lo Stato» spiega l’assessore. Che auspica che la futura normativa per la riduzione delle aperture domenicali non sia eccessivamente «puntigliosa e dettagliata», ma preveda piuttosto dei «principi generali, lasciando a Regioni e Province autonome la possibilità di adattare la normativa al contesto locale».

Anche Confcommercio, con il presidente dell’associazione commercianti al dettaglio del Trentino Massimo Piffer, approva il disegno di legge del governo nazionale: «In determinati periodi e in certi luoghi, tenere aperto un negozio significa buttare tempo e denaro. Faccio l’esempio di Trento e della Rotaliana, dove in piena estate non ha nessun senso tenere le serrande alzate, mentre nelle località turistiche gli operatori si possono organizzare con i turni di riposo nei momenti “morti”».

Oggi le aperture domenicali sono legate alla necessità di non perdere clienti che «altrimenti si rivolgerebbero alla grande distribuzione». Dello stesso parere è Gianni Gravante, presidente di Federmoda che venerdì sera in occasione dell’ultimo direttivo ha affrontato l’argomento con i colleghi: «Oggi le aperture sono troppe e vanno ridotte, anche per consentire ai lavoratori di trascorrere la domenica in famiglia. Vogliamo sperare che il governo non si limiti agli annunci».

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