Scoppia la guerra del Prosecco: in Croazia vogliono fare il «Prosek»
L’Italia annuncia la procedura di opposizione. Ma dal Meer-secco al Semisecco, i tentativi di imitazione sono già (quasi) infiniti
TRENTO. L'Italia annuncia battaglia in difesa di una delle sue più rappresentative eccellenze, il Prosecco. È di oggi (mercoledì 22 settembre) la pubblicazione in Gazzetta Ue della temuta domanda di protezione della menzione tradizionale "Prosek" per quattro vini a denominazione d'origine protetta, da parte della Croazia.
Un atto preannunciato giorni fa dal Commissario Ue all'Agricoltura Wojciechowski, che avvia formalmente la procedura di opposizione di 60 giorni da parte di Stati membri e persone fisiche o giuridiche.
A scendere in campo il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli, seguito dal mondo politico e agroalimentare. No unanime anche dalle Regioni. «Non è stata ancora presa nel merito una decisione definitiva sulla registrazione. Ad oggi la commissione ha dato semplicemente l'assenso alla pubblicazione in gazzetta della domanda», ha sottolineato in Senato Patuanelli. «Metteremo in campo tutte le nostre forze ed energie per bloccare questa errata e assurda decisione che mortifica la storia e l'identità dei nostri territori e penalizza i nostri produttori e consumatori».
Rivolgendosi ancora all'Aula il ministro si è detto convinto «di avere l'appoggio di tutti e dell'intero Governo per quella che è una battaglia di tutto il sistema Paese a favore di una delle più importati ed esclusive eccellenze». Secondo il ministro non ci sarebbero le «condizioni giuridiche» per la registrazione della denominazione Prosek da parte della Croazia, perché «il termine Prosek per affinità fonetica e visiva evoca nella mente del consumatore medio europeo proprio il Prosecco italiano».
Inoltre, ricorda, che è già stato attivato un Tavolo tecnico al Mipaaf «al fine di opporci a quanto proposto dalla Croazia».
«Stiamo lavorando insieme per evitare quella che sarebbe di fatto una istituzionalizzazione dell'italian sounding», ha confermato il Sottosegretario Mipaaf Gian Marco Centinaio, secondo il quale «bisogna fare presto per bloccare questo errore».
No unanime anche dalle regioni che al termine della Conferenza di oggi hanno sottolineato: «La richiesta della Croazia per la protezione del Prosek rappresenta un pericolo».
Immediato anche il coro di proteste nel mondo politico e in quello agroalimentare. Perché il nome del vino croato è troppo simile a quello dello spumante italiano.
Questo può trarre in inganno i consumatori di tutto il mondo, finendo per nuocere seriamente a quella che è la prima Dop per volume e valore certificato, con oltre 2 miliardi di euro di fatturato annuo sui mercati.
Tra l'altro la denominazione è legata a un territorio ben definito e di grande valore: le colline del Prosecco iscritte nella lista del Patrimonio Mondiale dell'Umanità come paesaggio culturale. Il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, ha definito «inaccettabile» l'accaduto.
Mentre per il presidente del Comitato delle Regioni dell'Ue, Apostolos Tzitzikostas, «ci dovrebbero essere azioni per non indurre in errore i consumatori. Questa è la priorità assoluta per l'Europa e per l'Italia».
Il presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, Piero Mauro Zanin, auspica invece «un maggior coinvolgimento di Regioni e comunità locali in questo tipo di dispute».
L'Unione italiana vini ha annunciato il proposito di fare squadra con Francia, Spagna, Portogallo e Germania affinché le federazioni vini di questi paesi «presentino anch'esse mozioni contrarie all'indicazione della Commissione». Sulla stessa linea Federvini per «un'azione coordinata tra la filiera, coinvolgendo anche gli altri grandi Paesi produttori di vino europei e il Governo».
«È necessario fare presto - avverte la Coldiretti - per fermare una decisione scandalosa che colpisce il vino italiano più venduto nel mondo». Perchè, sottolinea Agrinsieme, «la vicenda Prosek crea un pericoloso precedente in Europa, andando contro la filosofia delle denominazioni europee e rischiando di danneggiare fortemente i produttori italiani di Prosecco". In giornata non è mancato un flash mob di Fratelli d'Italia sotto il Senato per denunciare "il rischio che l'ennesima eccellenza italiana venga travolta dai furbi e dai falsificatori».
Un boom di imitatori.
Negli scaffali dei supermercati smascherati il Meer-secco, il Kressecco, il Semisecco, il Consecco e il Perisecco tedeschi ma in commercio sono arrivati anche il Whitesecco austriaco, il Prosecco russo e il Crisecco della Moldova mentre in Brasile nella zona del Rio Grande diversi produttori rivendicano il diritto di continuare a usare la denominazione prosecco nell'ambito dell'accordo tra Unione Europea e Paesi del Mercosur.
Il Prosecco, afferma Coldiretti, è il vino più imitato nel mondo. Ma il Prosek croato richiama solo nel nome il noto vino italiano. In realtà è molto diverso. È un vino dolce da dessert tradizionalmente proveniente dalla zona meridionale della Dalmazia per il quale Zagabria chiede di registrare una «menzione tradizionale» dopo che il tentativo di proteggere la denominazione Prosek era già fallito nel 2013.
La produzione di Prosecco - spiega Coldiretti - abbraccia due regioni (Veneto e Friuli Venezia Giulia), nove province e tre denominazioni d'origine (Prosecco Doc, Prosecco di Conegliano Valdobbiadene Docg e Asolo Prosecco Docg) per una fatturato complessivo stimato - conclude la Coldiretti - in quasi 2 miliardi dopo aver incassato nel 2019 il riconoscimento Unesco per le Colline del Prosecco. Altro caso è quello del vino Tocai, conteso tra Friuli e Ungheria.
Un vitigno, bianco talvolta rosso, storicamente prodotto all'interno della denominazione delle terre delle Venezie, tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, la cui denominazione fu variata per decisione della Comunità Europea nelle due attuali: Tai per Veneto e Friulano per il Friuli. Perché l'Ungheria produce un vitigno che da origine al famoso vino Tokaji. Infine solo pochi giorni fa la Corte di giustizia europea è intervenuta sulla querelle fra Francia e Spagna sul caso Champanillo.
Il caso è nato dal ricorso del Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (Civc), organismo per la tutela degli interessi dei produttori di champagne, contro catena la catena catalana di tapas bar “Champanillo” che in lingua spagnola significa “piccolo champagne”, perché evoca il noto vino francese non solo nel nome, ma anche nella grafica dell'insegna.