Alto Garda e Ledro, cassa integrazione per mille lavoratori
Alle Cartiere di Riva altri sette giorni di stop per circa 400 dipendenti. Interruzioni a rotazione anche alla Aquafil di Arco e in altre imprese. L'occupazione a rischio, considerando i fornitori, le filiere produttive e i servizi, riguarda tremila addetti
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TRENTO. Da mercoledì prossimo 2 novembre nuova fermata in Cartiere del Garda per carenza di ordini. Dopo il primo stop di metà ottobre, anche in questo caso la Cartiera di Riva resterà ferma per sette giorni con la cassa integrazione ordinaria per circa 400 dipendenti.
In tutta la Busa si moltiplicano le imprese che hanno chiesto la cassa o che scaricano il più possibile le ferie dei dipendenti oppure riorganizzano e riducono la produzione. In Alto Garda e Ledro sono più di 1.000 i lavoratori e le lavoratrici di aziende che stanno utilizzando almeno parzialmente ammortizzatori sociali.
Ma l'occupazione a rischio, considerando i fornitori, le filiere produttive, le attività di servizio, arriva a comprendere 3.000 addetti.
Le cause scatenanti sono il caro-energia e i fortissimi aumenti di prezzo delle materie prime. Le conseguenze però sono ormai più ampie. Grandi clienti delle nostre fabbriche rallentano le commesse perché hanno a loro volta problemi. Le aziende sono costrette ad aumentare i prezzi e in alcuni casi vanno fuori mercato. In qualche settore arriva la concorrenza di semilavorati e prodotti a basso prezzo cinesi, turchi e perfino statunitensi: è boom di importazioni industriali da Pechino e Ankara. Allarme dei sindacati: la crisi potrebbe estendersi.Ieri la direzione di Cartiere del Garda, del gruppo multinazionale Lecta con sedi centrali a Londra e Barcellona, ha comunicato alla Rappresentanza sindacale unitaria, la Rsu aziendale, l'esigenza di una nuova fermata di una settimana, dalla sera del 2 novembre alla mattina del 9, a causa della carenza di ordinativi già emersa qualche settimana fa.
La prima sospensione della produzione è stata fatta dal 10 al 16 ottobre. Alcune attività rimangono operative, ma nel complesso si dovrà ricorrere di nuovo alla cassa integrazione ordinaria per gran parte dei 470 dipendenti.Il gruppo Lecta aveva chiuso bene il primo semestre: fatturato superiore a 1 miliardo di euro, +73%, e utile di 61,5 milioni di euro. Ma già il 5 ottobre si annunciavano stop alla produzione.
«L'attuale contesto di mercato - comunicava il gruppo - è caratterizzato da costi di produzione molto elevati, in particolare energetici, e da una domanda sempre più debole, principalmente a causa della riduzione delle scorte nella catena del valore. Per questo Lecta ha deciso di sospendere temporaneamente la produzione in alcune sue cartiere. I tempi di fermo saranno programmati in modo tale da poter garantire ai clienti il nostro consueto alto livello di servizio».
Nel frattempo il ricorso alla cassa integrazione, sia pur a rotazione e senza fermate produttive, si è allargato al settore delle fibre tessili, in primo luogo a 446 addetti dei 550 della Aquafil di Arco e poi ad altre imprese per un'altra ottantina di lavoratori, oltre che alla Domo, 100 dipendenti sempre ad Arco, multinazionale belga produttrice di polimeri per l'industria delle materie plastiche. In altri settori, dai prodotti per l'edilizia alle lavanderie industriali, i costi sono esplosi ma le attività finora hanno retto grazie all'effervescenza del settore delle costruzioni e all'ottima stagione turistica per quelle lavanderie che lavorano per gli alberghi. Ora però cominciano a calare gli ordinativi dell'edilizia privata, mentre la stagione del turismo invernale è piena di incertezze.
«La dinamica che si è messa in moto è molto delicata - afferma Mario Cerutti della Filctem Cgil - A fronte dell'aumento dei costi dell'energia e delle materie prime, il problema è che da novembre molte aziende cominciano a vedere riduzioni degli ordini. Per ora si fa fronte al rallentamento con la cassa integrazione, spesso utilizzata parzialmente, lo scarico delle ferie, che però ha dei limiti, la rimodulazione dell'organizzazione della produzione. Ma le prospettive sono preoccupanti».
Secondo il sindacalista, «con i rincari energetici le aziende aumentano i prezzi, ma su certi prodotti non si riesce a fare prezzo, gli acquirenti a quel prezzo non comprano. Così alcune imprese hanno deciso che alcuni prodotti non si fanno più». Che sia per il prezzo, che sia per problemi che hanno anche loro, «molti grossi clienti delle aziende del nostro territorio sono fermi. Nei prossimi mesi si rischia un forte rallentamento del fatturato che, tra dipendenti diretti, indotto e servizi, potrebbe coinvolgere fino a tremila addetti nell'Alto Garda».
Per giunta, osserva Cerutti, «sul mercato di alcuni prodotti, come i semilavorati di polietilene, arrivano i concorrenti cinesi e turchi, con prodotti a basso prezzo anche perché sono amici di Putin che vende loro gas a prezzi più bassi, e perfino gli statunitensi», che tornano sul mercato grazie alle politiche protezioniste di Trump proseguite da Biden. In effetti nel primo semestre di quest'anno si registra in Trentino un boom delle importazioni industriali dalla Cina, 147 milioni di euro, il doppio dell'anno precedente, e dalla Turchia, 87 milioni di euro che doppiano il nostro export in quel paese.
«Di fronte a tutto questo - sottolinea Cerutti - è urgente che, oltre a sollecitare aiuti a Trento e Roma, si apra un tavolo con enti locali e Comuni sulla situazione in Alto Garda».