Il Trentino non assume i suoi laureati: qualifiche basse, economia impreparata e immobilista
Lo studio di Unioncamere, presentato dalla Camera di Commercio di Trento: poca innovazione, la richiesta è per qualifiche «minori»
TRENTO. Lavoro sempre più a bassa specializzazione, soprattutto in settori poco remunerati, in imprese che davanti alle difficoltà di reclutamento, si limitano a rifiutare commesse ma anche a ridurre investimenti e innovazione. Andando oltre le pur brillantissime eccezioni, sembrerebbe questa la fotografia del sistema delle imprese trentine. Un sistema che per forza, con questi presupposti, fatica ad essere attrattivo e di sicuro non può essere granché attrattivo sia rispetto ai talenti cresciuti altrove, per i propri giovani. E non a caso si contano 2mila ragazzi che prendono la via dell’estero ogni anno. Non solo. Con queste premesse per forza i livelli salariali faticano a crescere. Insomma, i margini di miglioramento sono ampi.
Questo per lo meno emerge da una elaborazione - peraltro presentata alle parti sociali in Camera di Commercio - fatta dal Centro studi della Camera, partendo dai dati di Unioncamere, Excelsior e ministero del Lavoro.
Il contesto. L’indagine parte dalle necessità delle imprese e soprattutto da come sono cambiate dal 2019 al 2023. Da quando cioè il Covid ha fatto emergere con maggior evidenza le difficoltà di reclutamento delle imprese anche trentine. L’indagine fa emergere i profili professionali richiesti dalle aziende trentine e le strategie per far fronte alla penuria di candidati.
Gli ingressi. I nuovi ingressi nel mondo del lavoro dal 2019 ad oggi sono anche in crescita: si è passati da 68.520 a 80.630 nel 2023. E il rapporto rimane il medesimo: sono soprattutto addetti del turismo (passati da 28.380 a 33.360), e a seguire altri servizi (da 20.730 a 23.420), industria (da 8.020 a 9.640), Commercio (da 7.710 a 8.990) e costruzioni (da 3.680 a 5.220).
Più nel dettaglio, sono esplosi i numeri degli addetti non specializzati delle pulizie: dai 6.280 del 2019 ai 12.330 del 2023. Quanto alle difficoltà di reperimento, il Trentino nel 2019 stava meglio rispetto alla media Nordest (26,1% di difficoltà contro il 31,8%), mentre oggi fa più fatica: la percentuale di difficoltà salita al 55,1%, e nel Nordest è al 50,4%.
Titolo di studio e competenze. Le note dolenti iniziano quando si guarda a come sono cambiati i profili professionali cercati: guardando alla percentuale di ingressi per titoli di studio richiesti dalle imprese, si vede che in 5 anni non aumentano i laureati: da 11% a 11,5%, di fatto stabili. In compenso calano le richieste di candidati con la sola scuola dell’obbligo (da 22,9% a 19,3%) ma anche dei diplomati di scuola superiore (da 28,2% a 19,1%). A crescere in modo netto è la richiesta di qualifica di formazione o diploma professionale: da 37,8% a 49,3%, mentre è introdotta la domanda (ma resta una nicchia) l’istruzione tecnica superiore (da 0 a 0,8%).
Sembra insomma che prese tutte insieme, le imprese trentine abbiamo più bisogno di personale poco specializzato che di personale ad alta o altissima specializzazione. Il che fa pensare che su piazza ci siano più lavori a basso valore aggiunto e quindi bassa produttività.
Una evidenza tanto più chiara se si guarda a come sono cambiate le competenze richieste dalle imprese in 5 anni: comunicare in italiano era ritenuto necessario per il 75% dei lavoratori cercati, nel 2023 questa percentuale è scesa al 66,8%. Idem per quel che riguarda comunicare una lingua straniera: da 59,8% a 48,3%, calano pure la richiesta di applicazione delle tecnologie 4.0: da 30,9% a 30,5%, una riduzione minima, ma ci si aspetterebbe che crescesse, in un sistema manifatturiero che guarda al nord. In compenso, le imprese chiedono sempre flessibilità e adattamento (da 95,6 a 95,2%).
Come attrarre i lavoratori. Quali strategie mettono in campo le imprese? È evidente che sono le aziende grandi )+ di 50 addetti) a mettere sul tavolo interventi più efficaci: non solo incentivi economici, ma anche attività di formazione. Meno pronte, le imprese grandi, a ragionare di flessibilità (su questo le piccole sotto i 10 addetti sono le più efficaci). Conseguenze. Davanti alle difficoltà di reperimento di personale, che succede alle imprese? Circa il 10% rinuncia alle commissione o aumenta i tempi di consegna. Pochissimi investono, quasi tutti riducono l’innovazione.