La scienza interrogata sul senso della vita: il nuovo libro di Giorgio Vallortigara e Massimiliano Parente
Lettere dalla fine del mondo. Dialogo tra uno scrittore che voleva essere uno scienziato e uno scienziato che voleva essere uno scrittore, è uscito oggi per la casa editrice "La nave di Teseo".
Lo scienziato che voleva essere uno scrittore è Giorgio Vallortigara, 61 anni, neuroscienziato roveretano con esperienze internazionali, grande studioso di cervello e comportamenti animali, in forza al Cimec di Rovereto, il Centro Mente e Cervello dell’Università di Trento di cui è stato anche direttore. Lo scrittore che ama gli scienziati ben più di quanto ami i suoi colleghi umanisti è il cinquantenne Massimiliano Parente, natali grossetani, scrittore critico, pungente, irriverente, dalla scrittura d’impatto. Sono scorrevoli le «epistole» che i due, che sono anche amici, si scambiano nel corso del 2020, l’anno d’inizio della pandemia da Covid-19. Virus che non viene nominato troppo apertamente, ma che rende di strettissima attualità questo dialogo sulle domande filosofiche fondamentali della storia umana e sul ruolo della scienza. Religione, soprannaturale, biologia, arte, identità, parità dei sessi, antropologia culturale sono i temi che si intrecciano con la forza – ma anche con le debolezze – della scienza.
Le grandi domande che accompagnano il lettore in queste 292 pagine sono esplicite: cos’è naturale e cosa culturale? Modifiche ai nostri ricordi sono inevitabili? Perché si vive? Credere in Dio o in un dio è una predisposizione biologica dell’essere umano? Il nostro cervello è sociale? Potremo mai capire come sarà il mondo senza di noi? Il tema della morte è forse il filo conduttore del libro, che scorre fluente quasi come un dialogo al telefono tra lo scrittore e lo scienziato: «In effetti – spiega lo scienziato trentino – la nostra amicizia è soprattutto telefonica. Io avevo letto i suoi libri e lui condivideva con me l’interesse per le origini delle credenze». E quando Parente e Vallortigara si confrontano, è come se ascoltassimo Shakespeare e Newton, spiazzati quando si scambiano i ruoli.
Lo scrittore provoca: perché non contiamo gli anni dalla pubblicazione del libro di Darwin sull’evoluzione della specie invece che dalla nascita di Gesù? E affonda subito i colpi: «Perché la scienza accetta di avere un magistero parallelo alle varie religioni e non dice con chiarezza che le religioni sono degli infingimenti che cozzano contro qualsiasi logica? Siamo fatti di microrganismi multicellulari destinati alla fine. Perché nessuno scienziato si prende la briga, nel 2021, di sconfessare le imposture delle religioni?»
Vallortigara prova a giustificarsi: «Aderisco ai riti della tribù che mi ospita come un antropologo, per studiarli, non per giustificarli». Proprio di fronte all’emergenza sanitaria, vediamo come ci sia sempre una parte della popolazione che preferisce affidarsi alle credenze piuttosto che alle evidenze della scienza. Per Parente, lo scrittore, non ci aggrapperemmo alle credenze se fossimo immortali. Bisogna saper ammettere che la vita è stupida e un giorno il Sole brucerà e si mangerà la Terra.
«La scienza per me è un labirinto in cui sperimentare qualche contatto diretto con la verità. Non ha a che fare con la verità in senso assoluto, ma con la verificabilità delle ipotesi» replica il neuroscienziato Vallortigara. Che poi aggiunge: «La scienza è descrittiva. Non prescrittiva. Poi siamo liberi o meno di usarne le conoscenze. Magari gli scienziati tra cento anni ci guarderanno come noi guardiamo gli stregoni dei secoli scorsi».
Sul senso della vita lo scienziato roveretano non ha dubbi: «Riesco ad ammettere che la vita è senza scopo o significato. È un cieco meccanismo di riproduzione e sopravvivenza di geni. Il cervello è un assemblaggio di piccoli sporchi trucchetti, evoluti sotto la pressione di specifici problemi posti agli organismi nei loro ambienti di adattamento evolutivo».
Insomma, se la posizione dello scrittore è decisamente apocalittica, ma non nichilista, e completamente sorda a compromessi e anche velate ipocrisie, lo scienziato è schiettamente più umanista: credenze e sovrastrutture non scientifiche, per lui, sono comunque frutto della biologia. Non quella fisico-chimica strettamente detta, ma quella cognitiva, cioè quel che siamo e che abbiamo appreso per intuizioni implicite, narrazioni, metafore dalle radici antiche. Forse non così antiche come i 4,6 miliardi di storia della Terra. Ma comunque più antiche del soffio di una generazione.
«La scienza impone sempre lezioni di umiltà – spiega Vallortigara – e bisognerebbe educare di più studenti e cittadini al metodo scientifico. Ben sapendo che la scienza è soggetta a obsolescenza pianificata: cresce giorno dopo giorno e le tue idee imperfette prima o poi qualcuno le rileverà. L’emergenza sanitaria ha portato un maggiore interesse per la scienza, ma c’è anche l’aspetto negativo della pressione mediatica, che fa aumentare le occasioni di fraintendimento e incomprensioni».