Meglio la Messa in tv: non rischio la salute
La lettera al giornale
Meglio la Messa in tv: non rischio la salute
Caro direttore, permettimi di scrivere queste poche righe per dire che sono basito rispetto alla polemica avviata dalla Conferenza episcopale sulla mancata apertura delle chiese. Sono un cattolico che da sempre pratica la chiesa del mio paese. Vado a Messa tutte le domeniche. E cosa vedo in chiesa? Cosa vedevo quando era aperta e si celebrava la Messa? Quasi esclusivamente anziani. I quali (sia detto fra parentesi) sono le vittime principali del Coronavirus. E allora dobbiamo mandarli a rischiare la salute?
Va detto che le occasioni di vivere la liturgia sono tante e quotidiane. Certo, in televisione, ma il messaggio è ugualmente significativo per chi lo vuole cogliere. C’è la Messa mattutina del Papa; ci sono almeno due o tre rosari alla sera. Chi vuole partecipare, anche senza uscire di casa, usando la prudenza necessaria di questi tempi, può farlo. Mi meraviglio di tutto il frastuono che si è voluto dare al mancato provvedimento del Governo.
E naturalmente sono preoccupato perché il Governo per evitare le polemiche accontenterà chi polemizza. Per parte mia, penso di continuare a seguire le Messe in televisione, almeno finché non sarà passato ragionevolmente il rischio di contagi. Concludo con un invito a mantenere senso dell’equilibrio e a non farsi travolgere dall’esteriorità. La Fede è fatta di gesti semplici, di silenzio e di rispetto.
Vigilio Giovanelli - Presidente della Cooperativa Agri 90, già sindaco di Storo
La questione non è semplice
Non è semplice la questione. Andrea Riccardi ci ha ricordato che il mondo cristiano, rilevante nella solidarietà del Paese, ruota attorno alla messa domenicale. Il rabbino Di Segni ha aggiunto che la giusta preoccupazione sanitaria non dovrebbe trascurare le esigenze spirituali delle collettività religiose. In un Paese che riparte e che per farlo si dà regole precise, le Chiese devono ripartire con le stesse regole. Lo Stato deve vigilare sulle regole, ma non imporre il silenzio a chi di troppo silenzio sta morendo. Caro Vigilio, sappiamo bene che c’è una grande bisogno di spiritualità, di preghiera, di vicinanza anche nella lontananza, in questo periodo.
E sappiamo bene che molte chiese sono quasi sempre vuote. Si tratta dunque di vigilare su quelle che sono piene, imponendo - nei casi specifici - le distanze previste per tutti gli altri luoghi. In alcuni casi ci vorranno più messe, per accontentare i fedeli; in altri casi continueranno a non esserci assembramenti, in messe che sono già poco frequentate. Una cosa è la prudenza, altra cosa - e il discorso vale per tante altre categorie che ancora non possono ripartire - è la discriminazione. Fidiamoci delle persone, diamo loro regole chiare, ma non pensiamo che la salute dello spirito - anche se le tecnologia certo aiuta anche a partecipare da lontano alle celebrazioni - sia meno importante di quella del corpo. Di qui nasce la polemica. Che difende in fondo proprio la semplicità, il rispetto e il silenzio di cui parli tu. E che difende - per legarmi a un tuo riferimento - gli anziani (ma anche i giovani) che, oggi più che mai, hanno un grande bisogno di profondità, di fede, di preghiera.
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