Il razzismo esiste anche da noi
Lettera al giornale
Il razzismo esiste anche da noi
Caro direttore, non possiamo paragonare la nostra storia a quella dell’America, questo è certo e non possiamo capire cosa subisce una persona di colore ancora oggi. Ma qui da noi il razzismo esiste eccome, non solo per quel che riguarda lo sfruttamento dei lavoratori (non certo unicamente nel settore dei pomodori, che spesso finisce sui giornali): anzi è ancora peggiore perché ce la prendiamo con chi è già ultimo nella scala sociale. Non siamo forse sprezzanti con chi sta davanti al supermercato o con chi vediamo passeggiare e con chi pensiamo non abbia un cavolo da fare? E poi siamo razzisti tra noi italiani, tra europei e europei dell’est, tra chi ha studiato e chi no, tra chi è uomo e chi è donna, ci sono milioni di modi per essere razzisti e noi ne siamo pieni. Forse se ne parla poco perché la destra non ne ha nessun interesse, anzi, e la sinistra è addormentata e ha da tenere a bada gente che ormai non sa come arrivare a fine mese.
L’afroamericano nasce e ha a che fare ogni giorno con delle discriminazioni: dall’accesso alla scuola, dal quartiere in cui vive, dai locali dove sei tollerato, dai parrucchieri, perché i tuoi capelli non sono come quelli dei bianchi e spesso i bianchi non te li sanno nemmeno trattare. Dai giornali e dai film: fino a pochi anni fa quanti erano gli attori neri e le modelle nere? E ancora oggi li consideriamo esotici comunque. Pensiamo poi a quando si viaggia: nessuno ci ferma all’aeroporto per il nostro colore; nessuno ci guarda strano e nessuno ci controlla i documenti partendo dal presupposto - meglio: dal pregiudizio - che potremmo essere pericolosi. È inutile negarlo. Ancora oggi essere bianchi facilita la vita.
Nicola Chimanda
C'è molta strada da fare
Vengo dalla lettura di un lungo post scritto su Facebook da Francesca Melandri - scrittrice che dimostra come i social si possano usare anche con rara intelligenza e non solo con assurda violenza -, post ripreso fra l’altro su Rairadiotre da Nicola Lagioia. Ebbene, la Melandri, invitando a una serie di letture (ho letto alcuni degli autori che cita, come la grande Toni Morrison, ma abbiamo davvero ancora molto da studiare) e cercando di aprire un dibattito serio, fa una riflessione che io cerco di semplificare in poche righe: andiamo spesso negli Stati Uniti, magari ci viviamo anche, ma stiamo fra bianchi, non sappiamo quasi nulla degli afroamericani, delle loro sofferenze, delle loro esistenze in perenne salita, e tendiamo a parlarne. Nella sua lettera e nei dettagli che lei cita - dettagli solo all’apparenza banali - c’è uno spaccato delle tante cose che non sappiamo. Di una rappresentazione che non va mai confusa con la realtà. Di una serie di pregiudizi. Non solo: lei ci invita a pensare ad un concetto di diversità declinato in mille possibili modi. La diversità di classe o di censo, la diversità di pensiero o di religione, la diversità enorme che ancora separa gli uomini dalle donne. L’altro giorno leggevo di una dottoressa in camice alla quale è stata chiesta una cosa che forse mille dottoresse si sono sentite chiedere anche in questi giorni pazzeschi: «Infermiera, sa dove io possa trovare un dottore?». Sì, il razzismo esiste eccome. Ed è dentro noi. Se possibile, il Covid-19 l’ha persino acuito. Non so nemmeno quanti casi Floyd ci siano nel mondo e non so per quanti giorni (temo pochi) ci ricorderemo di lui e del suo dramma. Ma so che tutto è utile a cercare di risvegliare le nostre coscienze. Anche se fatichiamo a capire, ad approfondire, a conoscere, a sforzarci - anche per i messaggi pessimi che arrivano da una certa politica e per quelli spesso fuorvianti che arrivano da altre parti politiche - di guardare oltre il nostro ombelico. Prenda la nostra terra: dovrebbe essere il luogo della convivenza, della solidarietà, della reciproca conoscenza. Ma c’è ancora tanta di quella strada da fare...
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