Brenta, cantiere aperto in quota Le "Bocchette" chiuse per restauro
«Damn, my battery is empty!»
John, un escursionista scozzese di mezza età si è ritrovato con il cellulare scarico proprio quando gli si è parato davanti il Campanil Basso. Nel cuore delle Bocchette centrali. Dovrà accontentarsi delle immagini che porterà nel cuore, senza file: non sa neppure se ci tornerà, quassù.
Di sicuro non potrà farlo da domani, venerdì 20 , quando le centrali verranno chiuse assieme alla ferrata Oliva Detassis, "variante" delle alte. Il resto dei tracciati rimarrà agibile, con i rifugi in quota aperti ancora per qualche settimana , ma nei tratti indicati partirà la penultima tranche di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle ferrate, che verrà ultimato nel 2020 con la sistemazione di un tratto delle Bocchette alte. Lavori necessari per preservare un patrimonio che è un richiamo, ogni estate, per migliaia di escursionisti che affollano le vie realizzate a partire dagli anni Trenta e che nei decenni sono arrivate a collegare praticamente tutti i rifugi del gruppo.
Trentini, italiani, ma non solo. Come John ci sono migliaia di altri stranieri. Si può fare letteralmente il giro del mondo, in Brenta. Non in ottanta giorni, ma a tremila metri. Gli escursionisti arrivano da ogni angolo del pianeta: Europa, ma anche Stati Uniti, Cina, Giappone, Sudamerica, Oceania. I lavori che scattano venerdì sono parte di un progetto avviato fin dal 2006, quando iniziarono i rilievi per "fotografare" la situazione dei percorsi attrezzati tra il Grostè a nord ed i rifugi Agostini e XII apostoli a sud ovest. Negli anni sono state sistemati dapprima il sentiero Orsi - che collega la Bocca di Tuckett ed il rifugio Pedrotti correndo sul versante est del Brenta, sotto le Bocchette vere e proorie - poi la ferrata Benini (tra il Grosté e la Bocca di Tuckett), il sentiero Dellagiacoma (tra il vallone del Tuckett e cima Sella), la ferrata Sosat (le Bocchette basse, tra il Tuckett e il Brentei) e ancora la Costanzi (tra i rifugi Graffer e Peller), il sentiero Martinazzi (dal Brentei verso la vedretta dei Camosci), la via dell'Ideale (dal XII apostoli all'Agostini per la Bocca d'Ambiez), le ferrate Castiglioni (che unisce sempre i due rifugi, ma passando sotto cima d'Agola) e Brentari, dal Pedrotti all'Agostini. Un lavoro enorme, certosino, portato avanti un po' per volta per evidenti necessità logistiche, ma anche per limitare l'inaccessibilità dei tracciati a pochi tratti per volta, sempre a fine stagione. L'anno scorso era stata la volta di parte delle Bocchette alte, tra qualche giorno come detto, chiuderanno le centrali - tra la Bocca degli Armi e il rifugio Pedrotti - e la Detassis, dedicata dai fratelli Bruno, Giordano e Catullo Detassis alla madre e che risale la vedretta dei Brentei permettendo di accedere alle Bocchette alte senza passare dall'Alimonta.
«Abbiamo stimato che ci vorrà una ventina di giorni lavorativi - spiega l'ingegner Luca Biasi , dell'ufficio tecnico della Sat - quindi più o meno un mese, calendario alla mano. È il penultimo atto di questa grande opera di manutenzione straordinaria, che si concluderà nel 2020 con il tratto delle Bocchette alte che ancora non è stato sistemato». Non uno stravolgimento, ma una attenta verifica dell'esistente: «I tratti messi male sono pochi, in quel caso si procederà allo smantellamento dell'attrezzatura presente e alla sua sostituzione integrale. Ma nella gran parte dei casi il lavoro sarà quello di messa in sicurezza di ciò che già c'è». Come ad esempio le scale. Tante, quelle presenti lungo gli itinerari, soprattutto quello della Detassis (l'«Oliva» come viene affettuosamente chiamata da chi in Brenta ci vive, lavora o da chi non riesce a starci lontano per troppo tempo). «Di scale ne sostituiremo ben poche, sono strutture storiche che si stanno ancora difendendo molto bene. Vi sono dei punti in cui gli ancoraggi sono da rafforzare e procederemo in questo senso». Gli interventi più consistenti riguarderanno gli "attacchi" delle ferrate, ovvero i punti in cui i tracciati attrezzati cominciano, come ha spiegato Biasi: «Per quel che riguarda le Bocchette centrali, sposteremo di qualche metro il punto di partenza alla Bocca degli Armi (il primo tratto del sentiero Figari): attualmente la prima scala parte piuttosto in alto, perché il livello del ghiaccio della vedretta si è abbassato. Sposteremo l'attacco di poco verso sud-ovest, in modo da farlo poggiare sulla roccia e metterci al riparo da variazioni di livello di neve e ghiaccio». Allo stesso modo verrà spostato anche l'attacco della Detassis «in modo da eliminare la scaletta che ora poggia su un grosso masso emerso negli ultimi anni dopo lo scioglimento dei ghiacci della vedretta dei Brentei, che ormai non esiste più. Anche in quel caso l'attacco aveva finito per ritrovarsi troppo in alto e si era ovviato alla cosa con una soluzione temporanea. Ora renderemo tutto definitivo, spostando l'attacco qualche metro più a sinistra».
Anche l'escursionismo deve insomma fare i conti con i cambiamenti climatici: «Quando si parla di tracciati in quota la cosa è quantomai evidente. Ti ritrovi a vedere passaggi attrezzati sopra di te, a qualche bel metro sopra i passaggi attuali. Semplicemente perché quando le vie erano state tracciate i nevai, o comunque i massi tenuti assieme dal permafrost, permettevano di transitare più in alto. Col caldo che ha fatto sparire neve, franare i massi e spostare a valle anche i sentieri», spiega Biasi. Proprio per questo verrà spostato anche l'ultimo tratto del sentiero che porta dall'Alimonta alla Bocca degli Armi: «Lo tracceremo sul lato opposto a quello attuale perché sul lato degli Sfulmini, i crolli sono ormai una costante e non è più sicuro mantenere là il passaggio». A parte queste eccezioni, nessun cambiamento consistente dunque, ma piccoli accorgimenti necessari per mantenere sicura una serie di tracciati che rappresentano un vero e proprio patrimonio non solo per la montagna trentina, ma anche per l'economia. Le Bocchette e più in generale le ferrate del Brenta sono una attrattiva senza pari per migliaia di turisti ogni anno e mantenerle in ordine è, oltre che una necessità dal punto di vista della tutela degli escursionisti, anche un accorto investimento. Da circa 50mila euro, solo per i lavori che scatteranno tra pochi giorni, coperti dalla Provincia per il 95%. Ad entrare in azione sarà il personale della ditta specializzata Simoni di Transacqua, con squadre tra tre - quattro persone appositamente formate dall'ufficio tecnico della Sat per portare a termine gli interventi.
1.200 KG DI MATERIALI
Un mese di lavori, cinquantamila euro di investimento, seicento metri di tratti attrezzati a cui mettere mano con una tonnellata e due quintali di materiale da posare. E ancora: cinquecento chiodi, settanta chiodi di testa, una cinquantina di staffe, un centinaio di cartucce di ancorante chimico (resina bicomponente) con cui verranno messi a dimora i nuovi "ferri". Al posto dei vecchi, alcuni sostituiti 35 anni fa da Franco Nicolini e dal compianto Felice Spellini, altri con settant'anni sul groppone.
Ma il difficile non starà né nella caratteristica peculiare dei lavori in quota né nelle incognite legate al meteo. «Il problema sarà tenere gli escursionisti lontani dall'area del cantiere», spiega infatti Luca Biasi, dell'ufficio tecnico della Sat.
«Le ferrate verranno "blindate": ne chiuderemo l'accesso con reti da cantiere, nastri e in bella viste le ordinanze di impraticabilità che emetteranno i sindaci dei comuni sul cui territorio cadono gli attacchi ed i tracciati. Ma sappiamo già che non basterà».
Tanti, infatti, aggirano divieti ed ostacoli e le vie attrezzate vanno a farsele. È successo in passato, succederà anche a partire dal 20 settembre. Biasi riporta un aneddoto, per suffragare la certezza che qualcuno arriverà fino all'area in cui si lavorerà (dovendo per forza tornare indietro, a quel punto): «Quando qualche anno fa effettuammo lavori sulla via ferrata Susatti, che porta a cima Capi, in val di Ledro. Nei giorni di cantiere, con il sentiero chiuso dunque, contammo cinquecento firme sul libro di vetta. E si deve tener presente che, mediamente, il libro di vetta lo firma un escursionista su due». Presenze che a volte fanno sì che non solo venga messa a repentaglio l'incolumità di chi deliberatamente ignora i divieti, ma mettono anche in difficoltà gli operai: «In passato è capitato pure che qualche escursionista rubasse delle scorte d'acqua che le squadre avevano portato in quota. Lasciando magari dei soldi per il disturbo. Ma gli operai una volta al lavoro, con le monete si sono potuti dissetare ben poco...».
DA TUTTO IL MONDO PER AFFRONTARLE
Quindicimila persone da inizio giugno a fine agosto: cinquemila presenze al mese, solo considerando i sei rifugi del Brenta che ricadono sotto l'ambito dell'Apt di Madonna di Campiglio.
Basterebbe un numero come questo per far capire quanto valga un patrimonio che tutto il mondo ci invidia, che è - meglio - un patrimonio in un patrimonio, quello delle vie ferrate del Brenta.
I dati sono quelli del 2018, con 15.013 presenze (6.553 italiani e 8.460 stranieri) tra i rifugi Dos del Sabion, Graffer, Casinei, Brentei, Tuckett e Alimonta. Una crescita di quasi 800 presenze rispetto alle 14.254 del 2017 (con 7.030 italiani e 7.224 stranieri). Primo mercato quello tedesco, 19% del totale e quasi il 50% delle presenze straniere, seguito da quello olandese, poi Austria, Francia, Stati Uniti e Repubblica Ceca.
Dati indicativi, dato che non tutti coloro che arrivano ai rifugi salgono poi ulteriormente in quota. E parziali, dato che non vengono considerati gli accessi dal versante di Andalo e Molveno e le presenze negli altri rifugi del gruppo, dal Pedrotti, all'Agostini e XII apostoli. Non è difficile dunque ipotizzare presenze ben oltre quota 20.000 nella peggiore delle ipotesi, con tutto ciò che per il turismo trentino e l'indotto collegato questo comporta.