Le montagne di famiglia negli archivi del '900
«A ll'inizio della vallata la cascata di Nardis, la cascata più bella e maestosa; duplice, che con un salto di novanta metri...».
Mentre le immagini della Cascata di Nardis scorrono sullo schermo, girate in 8 milimetri, a commentarle è la voce di don Alpino Slompo, sacerdote nato a Vetriolo di Levico e residente a Milano. «Era un personaggio straordinario», spiega Lorenzo Pevarello, autore e regista della Fondazione Museo Storico del Trentino, che ne ha ricostruito la figura.
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Le immagini di don Alpino, insieme a tante altre, si possono vedere in rete, nell'Archivio del Novecento trentino e alle Gallerie di Piedicastello, nella mostra Usavamo la cinepresa: storie in formato ridotto , a cura di Patrizia Marchesoni, Lorenzo Pevarello, Roberta Tait e Michele Toss , visitabile fino al 3 maggio da martedì a domenica in orario 9-18 (lunedì chiuso).
Parliamo di pellicole "amatoriali", girate in famiglia, in gita o con intenti documentaristici - molte in montagna - in un arco di tempo che dagli anni Venti arrivano agli anni Ottanta del Novecento.
«Don Slompo - commenta Pevarello nel filmato - era animato da una grande passione per le montagne e in particolare per le sue Dolomiti. Un amore veramente totalizzante. Ho ancora fresco nella memoria l'incontro con suo cugino, Tarcisio Gremes, quando mi venne a trovare per farmi vedere una serie di documentari. Rimasi stupito per il lavoro fatto da don Alpino: in vent'anni di riprese aveva documentato, con attenzione e rigore filologico, quasi tutte le montagne del Trentino-Alto Adige. Don Alpino Slompo aveva poi montato queste immagini, sonorizzandole e commentandole, creando così delle straordinarie narrazioni delle nostre montagne. Ricordo ancora perfettamente quando il cugino Tarcisio mi raccontò di questo grande amore per gli spazi infiniti dei nostri monti, e di come volesse trasmetterlo agli altri. È così che nasce tutta una serie di documentari amatoriali, come ad esempio Lagorai, Marmolada, Catinaccio, Adamello-Presanella, Vioz e altri ancora.
Don Alpino era amico di Cesare Maestri, il "Ragno delle Dolomiti", e di Bruno Detassis, "il custode del Brenta", ma era molto legato anche al ricordo di Tita Piaz, suo maestro di arrampicata, uomo di grande personalità. Piaz - ricorda Pevarello - fu guida del Re del Belgio, e durante la Seconda guerra mondiale, partigiano, rinchiuso dalla Gestapo nel carcere di Bolzano insieme a Gian Antonio Manci. Io non ho mai conosciuto personalmente don Alpino ma quando ascoltavo le parole di suo cugino mi sembrava quasi di vederlo mentre attraversava, con ai piedi gli inseparabili scarponi di montagna, piazza Duomo nella sua Milano dove svolgeva il servizio sacerdotale nel rione del Giambellino. E a chi si permetteva di fargli notare che quelle scarpe forse non erano adatte alla città, lui rispondeva con calma: "io non ho alcun rispetto umano, o vergogna, a camminare in città con i miei scarponi dolomitici. Don Alpino amava molto le sue montagne e le considerava dei luoghi sacri dove tangibile era la presenza di un Dio creatore di tutte le cose. In questo vedo una grande somiglianza con il fortissimo alpinista roveretano Armando Aste, da poco scomparso. Per don Slompo, come per Aste, le montagne erano i pilastri del cielo, le cattedrali del cielo; dai suoi filmati traspare un profondo sentimento religioso e l'esigenza fortissima di comunicarlo alle persone che mai avevano vissuto quell'esperienza. Don Alpino è morto sulla montagne che tanto aveva amato il 13 settembre 1982 precipitando dalla sua Cima d'Asta».
All'interno degli archivi della Fondazione Museo storico del Trentino, da circa vent'anni esiste un fondo cinematografico dedicato ai film di famiglia. Nato inizialmente per supportare le produzioni documentaristiche dell'allora Museo storico del Trentino, oggi il fondo che raccoglie i film di famiglia è una realtà a livello nazionale per quantità e qualità dei materiali conservati. Per la Fondazione questi materiali cinematografici sono grande importanza, ma ancora più importante è mantenere un rapporto forte con le famiglie che affidano al museo i loro ricordi nella consapevolezza del fatto che si tratta di materiali delicati con enorme valore affettivo. Dietro le immagini ci sono storie di persone e di luoghi che tornano dopo anni di oblìo.
Per questo, al lavoro di restauro digitale e digitalizzazione delle pellicole si affianca la raccolta delle testimonianze, di chi ha realizzato le immagini, o dei familiari, in grado di raccontare la storia di famiglia.
«L'obiettivo primario che ci siamo posti - spiega Pevarello - è quello di salvare dall'usura del tempo questi materiali per loro natura così delicati. Parallelamente, negli ultimi due anni, grazie anche il sostegno della Fondazione Caritro, è iniziato un lavoro di catalogazione e di pubblicazione dei database sull'Archivio Online del Novecento Trentino in modo di permettere a tutti la fruizione di questi interessanti materiali».
L'archivio raccoglie in maggior parte materiali di famiglie trentine e per questo motivo la montagna è spesso ripresa e rappresentata. In particolare il fondo Montagni con le immagini del giovane Giorgio Graffer a Vaneze del Bondone, il fondo Keller che è la storia della montagna come palestra per l'educazione civile dei figli, il fondo Don Alpino Slompo.